1930, Viaggio al termine della notte

Non provare a cercare l’indirizzo non lo troverai, non provare a chiederlo perché non te lo diranno; queste sono le voci che circolano sul 1930. Perciò questa non vuole essere una semplice recensione di un locale, ma il racconto di un’esperienza vissuta sul finir della notte in una fredda giornata novembrina in quel di Milano. Tutto è iniziato così, con un numero di telefono passato sottobanco, e una voce con inconfondibile accento francese che ci diceva che avevamo un tavolo riservato nel cuore della notte… ad un indirizzo sconosciuto. Si perché il 1930 se non lo conosci non esiste e se non sai che esiste non lo troverai. Così dopo una notte passata a bighellonare per i navigli ci rechiamo all’ora stabilita nel luogo stabilito. Persi tra i boulevard della Milano elegante e borghese di fronte a noi si manifesta un classico luogo della vita nottambula della città lombarda. Ma sono i particolari a fare la differenza ed ogni dettaglio svela il velo di affabulazione che circonda questo strano indirizzo. 1930 speakeasySe non fosse per una nota di idiosincrasia con l’ambiente circostante, un giovane barbuto e le sue bretelle, non ci saremmo mai accorti di essere arrivati finalmente alla conclusione della nostra ricerca del locale perduto. Ed ecco che, come d’incanto, cade la coltre di nebbia che nascondeva la realtà e ritroviamo tutti gli oggetti familiari di un cocktail bar mimetizzati. Non solo, quegli insondabili graffiti sul muro non erano niente meno che le firme di illustri personaggi della mixology ( molte a noi familiari ) ospiti del 1930. Come in un romanzo di Fitzgerald il giovane barbuto ci apre lo scrigno segreto per catapultarci indietro nel tempo, nel regno di Flavio Angiolillo e Marco Russo e della loro miscelazione ardita. Intimo, elegante, sofisticato, bohemien , soul si potrebbe sviscerare un vocabolario per definire l’atmosfera del 1930. Midnight in Milan, giovani argonauti del drinking siamo giunti in porto per goderci il nostro vello d’oro. Ma adesso seduti su divani vintage, raccolti tra musica e tepore, convinti di essere al termine delle nostre peregrinazioni, ci accorgiamo che non era la fine ma solo un inizio. Finisce il viaggio comincia un racconto.

Il menù 1930 gli interni

Il raccontare, il narrare una storia è il fil rouge che unisce tutti i drink del 1930. Partendo dal menù, esso stesso un breve romanzo (il nostro si intitolava The Bogdan bridge di Michael Love), fino ad ogni ricetta dove a far scaturire le connessioni della miscelazione è un discorso narrativo fatto di sensazioni, richiami e ricordi. Una cosa bisogna dirla subito, la miscelazione praticata al 1930 è qualcosa di estremo e arduo, fortemente sperimentale ma incredibilmente interessante. Una concezione metafisica del drink, legata a concetti ed esperienze. Un uso di basi insolite, di accostamenti complessi che creano un discorso gustativo difficile e spesso irrisolto, ma sempre affascinante. Come in un romanzo di Célin dove è la costruzione, nel nostro caso del cocktail, a creare un labirinto disorientate. In breve, vi parlerò del racconto della nostra degustazione dei drink che in questa serata abbiamo fronteggiato, e dello spazio narrativo che ha portato alla loro creazione. Un ponte che unisce la Moldavia agli Stati Uniti, così ci è stato presentato il “Bogdan Bridge” (Whiskey infuso all’aringa affumicata, Vermouth francese, sciroppo di birra, acqua di burro), un drink che scivola attraverso tre fasi sul palato dal salato, al dolce fino all’affumicatura del pesce. Sconcertante. Se un giorni ti innamorerai penserai a questo cocktail, il “Giardino di fiori di pesco” ( sake, Umeshu, apricot brandy, riduzione di liquore allo zenzero, bitter al tè)Giardino di fiori di pesco ti riesce a portare tra i petali di uno shojo manga nell’attimo del primo incontro tra i due protagonisti. Dimmi che è vero. Se con il cocktail ti servono anche carta e penna è perché dopo aver bevuto il “Papardier” (Martini gran lusso infuso al caffè, soia al cacao, rum cubano, bitter) ti lascia dentro qualcosa; ispirato a Hemingway e alla sua passione per il Rum. Profondo. Hai chiesto un drink e ti portano un dim sum? questo è perché hai chiesto un “Mèngxiang hé lòng”(Bambu, Vermouth francese infuso al sedano,riduzione di zenzero, shiso soshu, sciroppo di riso, bitter al tè), un vero surrogato di Asia presentato tra i vapori del ghiaccio secco. Una rivoluzione culturale. Infine chiudiamo con il più scioccante, un infuso di pianura lombarda in un bicchiere, un surrogato della campagna padana espresso in parti alcoliche il “Martesana” (Ardbeg Scotch Whisky, distillato di Gorgonzola, sciroppo di arachidi in agrodolce, glucosio di pera, sciroppo di zucchero di sale, bitter alle noci). Perverso.

Così dopo aver smontato le nostre barriere concettuali del bere, con il giorno ancora lontano dal divenire ma la notte ormai agli sgoccioli, usciamo da questa tana del bianconiglio convinti che il tempo si sia fermato al 1930.

Fabio

Iniziata la mia carriera bevendo sidro per tutti i pub del quartiere Prati di Roma, fatale fu un viaggio in Scozia che mi fece scoprire le gioie della birra e del Whisky, per poi consacrarmi al luppolo sulle strade del Belgio tra Trappisti e Lambic. Dal pub sottocasa al micro birrificio più sperduto, dal Manzanarre al Reno, dalla Gran Bretagna alla Scandinavia, in una costante ricerca della birra più introvabile; senza mai disdegnare un buon distillato o un ottimo cocktail. Birra preferita: La Duchesse de Bourgougne (una Flanders Red Ale della Brouwerij Verhaeghe Vichte) è stata per anni la mia compagna preferita; Cocktail preferito: MIlano – TOrino, in fondo siamo pur sempre italiani; Distillato preferito: Sarò uno dei pochi a dirlo ma…Scapa!

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