Baritalia di Palermo: al teatro va in scena il bar

Nel teatro in cui il bar recita se stesso, vince la squadra di Compagnia dei caraibi, vince Gabriele Simonacci: “Grazie Palermo, grazie Paolo Sanna”

Baritalia continua il suo viaggio lungo la Penisola. Ha raggiunto un’altra

Il Real Teatro Santa Cecilia

Il Real Teatro Santa Cecilia

tappa al Sud. Il bar lab itinerante ha fatto scalo a Palermo per il terzo appuntamento della manifestazione ideata da Bargiornale. Una cornice storica, quella del Real Teatro Santa Cecilia, ha ospitato i partecipanti, 40 bartender tra i quali 1 su 4 proveniva dalla stessa Sicilia. A precedere la gara due masterclass. La prima incentrata su come fare business partendo dalle idee, di Luca Anastasio, ‘spagnolo’ di Amalfi (Luca, italianissimo, lavora a Madrid e offre la sua consulenza a grandi catene alberghiere); la seconda del nostrano e celebre ovunque Dario Comini. Il maestro del molecolare ha spiegato alla platea l’ultimo ‘gingillo’ che da poco è andato a impreziosire il suo locale: un miscelatore cavitazionale, roba che da alcuni anni viene usata dagli chef stellati e che, a quanto pare, consente di aromatizzare qualunque cosa in brevissimo tempo. Una rivoluzione (tuttavia ancora molto cara, ndr).
Per quanto riguarda la gara, l’obiettivo era rivisitare un grande classico tra i cocktail, sapendolo, oltre che preparare, anche raccontare. Non c’è

Dario Comini

Dario Comini

un bartender di successo se non si è in grado di ammaliare il cliente con le parole. O, se preferite ribaltare la visuale: il cliente non va quasi mai a bere in un locale, quanto piuttosto a farsi cullare da storie, ad essere coccolato, servito e riverito. Il drink, quello è la ciliegina sulla torta, l’accessorio della serata, non lo scopo. Giudicare i ragazzi non solo per la bravura tecnica sulla preparazione del cocktail, ma sulle doti oratorie, ci sembra quanto meno doveroso.
I 40 bartender erano divisi per squadre (legate a degli sponsor e da cui prendono il nome) e ognuna era ‘capitanata’ da un portavoce d’eccezione. La vittoria è arrivata per la squadra di Compagnia dei Caraibi, guidata da Paolo Sanna che è riuscito a incantare con le sue storie la giuria. Gli altri componenti erano Giuseppe Prosperi del Banana Repubic (Roma), Otello Insinna del Bocum (Palermo) e Gabriele Simonacci dell’Argot (Roma). Proprio il suo “Mai Tai” è stato giudicato il migliore e con la sua

I partecipanti a BarItalia di Palermo

I partecipanti a BarItalia di Palermo

squadra ha conquistato una vittoria forse insperata. Siamo andati a trovarlo nel suo locale per intervistarlo. Gabriele è un bartender non avvezzo alle luci della ribalta, ma su quel palco, con quel pubblico di palermitani si è sentito subito a casa. “Le mani mi tremano persino nel mio locale, invece lì durante la gara tutto è andato bene. Devo ringraziare i palermitani presenti e Paolo Sanna”. Ecco quello che ci ha raccontato.

Gabriele, le prime impressioni quando sei salito sul palco del Real Teatro?

“Lì sul palco è stato più che emozionante. Si trattava della mia prima competizione vera e propria. Vedere i microfoni, le telecamere, tutta quella gente… Però l’emozione è stata tanta. Quando ho visto il mio nome sul maxi schermo ho provato dei brividi inconsueti. Devo aggiungere che c’era un pubblico stupendo e per questo mi sono sentito molto a casa”.

Prima di partire per Palermo a cosa pensavi?

“Ero appena tornato da una bellissima vacanza, in cui sono stato dieci giorni a pensare a quella gara. Credevo di non farcela, che mi sarebbero tremate le mani. Invece davanti a quel pubblico meraviglioso di Palermo sono rimaste ferme e sono riuscito a fare il cocktail”.

Il tuo “Mai Tai” ha vinto, ma quanto hanno contato i tuoi compagni?

“Intanto devo ringraziare Otello Insinna per la bellissima giacca che mi ha prestato, quando sono salito sul palco. Dovevamo portare dei twist su grandi classici. Compagnia dei Caraibi, con Paolo Sanna ha puntato a un twist sul “Mai Tai”, e devo dire che su quel “Mai Tai” Paolo ci ha messo ‘anima e core’, come si dice a Roma. Ognuno di noi tre ha gareggiato con un suo twist. Quello che ha vinto è stato il mio”.

Gabriele Simonacci

Gabriele Simonacci

Come ti sei preparato alla gara?

“Ne ho parlato con Paolo, ma le comunicazioni sono state complicate. Stavo dall’altra parte del mondo, come dicevo prima, in Tailandia. Solo tramite messaggi e mail siamo riusciti ad arrivare piano piano al mio twist. Non abbiamo avuto il tempo neanche di assaggiarlo prima. Lo abbiamo provato proprio lì alla gara. È stato incredibile”.

Paolo cosa ti ha detto alla fine?

“Mi conosce da tanti anni, col suo modo di fare unico, mi ha detto che avevo fatto una bella prestazione”.

Per te era la prima gara vera. Avrai osservato gli altri colleghi, prima della tua esibizione. Ti sentivi in soggezione?

“Certo. Lì mi sono preoccupato. Ho notato subito che c’erano persone che stavano creando delle ‘sculture’, non dei drink. Molto preparati, curati… E lì, ancora una volta, il grande Paolo Sanna per tranquillizzarci tutti fa: ‘ragazzi, sapete che c’è? Andiamo a farci un bel pranzetto’. Per cui non curanti più di quello che stava succedendo, siamo andati a mangiare. Alla fine ha avuto ragione Paolo. La semplicità ha vinto. Credo che la vittoria ce la siamo guadagnata per quello”.

Durante la premiazione Comini ti ha sussurrato qualcosa, puoi svelarcelo?

“La premiazione è stata fantastica. Comini mi ha abbracciato mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. Il suo sguardo ha detto tutto. Mi ha detto solo ‘complimenti’ che per me è valso più di mille parole”.

La prossima tappa?

“Nincevich ci ha detto di mantenere il segreto…”.

Raccontaci più nel dettaglio la preparazione del tuo “Mai Tai”

Botran scuro e chiaro, 30 ml per parte. 30 ml di succo di Verdelli, essendo in Sicilia. 15 ml di latte di mandorla. Amaro ‘Amara’ al posto dell’ orange curaçao, fatto di arance rosse sicule che per me ha dato quel tocco in più. Si shakera e si versa. Nel mio caso in un bicchiere di ceramica. Sanna mi continuava a ripetere che la semplicità vince sempre. Così ho preso un  bicchiere di terracotta lì in Sicilia, senza manico. Un prestito di Insinna. Anche la guarnizione è semplice: una fogliolina di menta adagiata sopra”.

Tra le dodici squadre, dunque, ha vinto quella che ha giocato con la semplicità che, come diceva Ovidio due mila anni orsono “è cosa rarissima ai nostri tempi”. Ai suoi, ma anche ai nostri…

Gaetano Massimo Macrì

Martiniano. Bartender/giornalista. Insegnante di quello che – seppur in molti sembrano esserselo dimenticato – va sotto la voce di “American Bar”. Tradotto significa: esigente bevitore al bancone e miscelatore ignorante, perché, come scriveva un ‘collega’ degli anni ’30 del secolo scorso (Elvezio Grassi in “1000 misture”) l’essere un buon barman è “sapere quanto poco noi sappiamo”. Mi sembra un ottimo punto di partenza. Per questo motivo vado in giro per locali, alla ricerca del mio perfetto martini cocktail, nonché del mio bartender di fiducia. Un po’ Ernest Hemingway, un po’ David Embury, un giorno scriverò anche io una ‘bartender’s guide’ o qualcosa del genere. Infine, ma assolutamente non da ultimo per importanza, ecco alcune disposizioni per chi fosse interessato a farmi da bere. Colui che mi preparerà un buon Americano, avrà la mia simpatia. Colui che saprà costruirmi un Boulevardier degno di nota, otterrà la mia riconoscenza. Se, poi, non solo non disdegnerà un Old Pal, ma sarà in grado di equilibrarmelo nella coppetta, godrà di tutta la mia più profonda stima. Il martini, tuttavia, è un’altra faccenda.

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