Il barman tra tradizione e innovazione

Inizia ad essere palese a tutti, gli indizi sono ormai evidenti, stiamo vivendo un momento cruciale per la miscelazione in Italia. La domanda che ci si deve porre a questo punto, affinché questo fenomeno non si spenga come una moda passeggera, è come affrontare un così vasto ed improvviso cambiamento di prospettiva?

Come ricorda giustamente Paolo Sanna (leggi la sua intervista completa su Wispr), bartender del Banana Republic di Roma, nel nostro paese “non c’è mai stata una tradizione vera e propria del cocktail bar”, e, aggiungiamo noi, fino a pochi anni fa, la

Paolo Sanna, bartender del Banana Republic di Roma

Paolo Sanna, bartender del Banana Republic di Roma

mixology era questione per pochi eletti. L’esplosione di questo fenomeno, la diffusione, più a macchia d’olio che di leopardo, di speakeasy e locali dedicati, la diffusione massiccia di corsi, masterclass, scuole apposite, rischia così di sovraccaricare un sistema ancora non del tutto pronto per questa svolta. Oltre che diffondere ricette e ricettari, entrare in tecnicismi (seppur interessanti), è quindi importante aprire una seria riflessione su cosa sia il bartending oggi. Una riflessione molto complessa e dalle molteplici sfaccettature che abbiamo già iniziato ad affrontare avviando una discussione sul concetto di hosting, di ospitalità e cura del cliente, tema tanto caro ad alcuni bartender quanto quasi sconosciuto ad altri. Gli argomenti da trattare sono molti, dall’idea di formazione a quella di “bar managment”, ma approfittiamo di due piacevoli chiacchierate, con Paolo Sanna e Marco Russo, bartender del Mag e del 1930 di Milano (che potete leggere integralmente su Wispr), per aprire un breve dibattito su una materia sempre al centro di accese discussioni: il rapporto tra tradizione e innovazione.

Pochi mesi fa, durante la finale dell’Head to head bar competition, due maestri della miscelazione come Massimo D’Addezio e Roberto Artusio sottolinearono come molti giovani barman, magari bravissimi nella preparazione di home-made, non conoscessero in realtà le ricette classiche. Un analfabetismo, passateci il termine, che può essere allargato ancor di più se si considera, come fatto da Leonardo Leuci (leggete le sue dichiarazioni in proposito su Wispr), quanto non basti nemmeno

Un mixing glass Yarai

Un mixing glass Yarai

conoscere gli antichi ricettari se non si comprende appieno il contesto culturale in cui vennero scritti. Si può affrontare dunque il mutato panorama italiano, la vorticosa crescita di clienti e popolarità, senza possedere questo sapere? La risposta è ovviamente no. L’apparente dicotomia fra innovazione e tradizione, che dovrebbe essere rappresentata proprio dagli stili di due barman tanto diversi come Paolo Sanna e Marco Russo, è così presto risolta. Che si lavori con prodotti secolari, riscoprendo vecchie distillerie o microproduzioni, o con distillati unici e innovativi, che si utilizzi uno Yarai giapponese o un gallone, alla base è necessaria lo stesso studio e la stessa conoscenza. I concetti stessi di innovazione e tradizione si prestano infatti ad interpretazioni diverse: è innovazione, per Paolo Sanna, “riportare la tradizione con i prodotti attuali” ed è sempre innovazione, per Marco Russo “ l’uso di tecniche, classiche o nuove, finalizzate a dare un’emozione a un drink”. Può sembrare paradossale ma può essere considerato innovativa anche la riscoperta di cocktail o prodotti assolutamente tradizionali, come fatto, nel recente passato, con il “Boulevardier” o il vermouth. Mettere a confronto idee e stili tanto diversi, ma, alla fine, per molti versi simili, ha dunque il pregio di far emergere il ruolo centrale dello studio, della formazione e della conoscenza. Non si può creare un drink “in perfetto stile italiano” senza avere precisa cognizione delle materie prime così come non si può creare un “Bogdan Bridge” (whiskey infuso all’aringa affumicata, vermouth francese, sciroppo di birra, acqua di burro), un cocktail davvero particolare

Il 1930, una delle creature di Marco Russo

Il 1930, una delle creature di Marco Russo

assaporabile al 1930, senza avere ben chiara in mente la ricetta del classico originario, il Brooklyn (Rye, vermouth dry, maraschino, angostura).

Che si sia spinti quindi da un genuino desiderio di sperimentazione o ricerca (e non di cieca emulazione) o si sia mossi dalla volontà di riscoprire lo straordinario panorama tradizionale della nostra penisola non si raggiungeranno mai grandi risultati senza approfondire la storia e le storie legate alla miscelazione e al bartending passato. Se si vuole davvero trasformare la moda di un momento in un fenomeno culturale radicato nella società è necessario perciò compiere quel passo di maturità, già percorso, ad esempio, dalla cucina italiana, che passa, inevitabilmente, dallo studio.

Giampiero

Dal cinema al whisky il passo può esser breve. Basta fare un viaggio in Scozia, perdersi magari nel cuore delle Highlands, e ritrovarsi a chiacchierare in un piccolo pub di Ullapool parlando di torbatura e imbottigliamenti. Nasce così una passione travolgente, girando l’Italia, l’Europa (e non solo) di degustazione in degustazione, di locale in locale... alla scoperta del meglio che questo universo può offrire. Cocktail preferito: Rob Roy Distillato preferito: Caol Ila 25 yo

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