Daniele Biondi e “I segreti del Governo” dei rum

“El alma de Cuba? Il mojito? Marketing. Tutto nasce dagli inglesi”. Daniele Biondi racconta il dietro le quinte del mondo dei rum. Cosa c’è da sapere, cosa è corretto o pura pubblicità. Un master in Flair Project all’insegna della sua esperienza

“Il rum è una roba europea, inglese. Il mojito piace a loro, che possono pompare il light rum che costa meno e lo fanno pagare lo stesso degli altri. Il marketing spinge il mojito, il concetto de el alma de Cuba, ecc… ”. Questo è Daniele Biondi, uno dei maggiori

Daniele Biondi

Daniele Biondi

esperti di Rum in circolazione, fondatore del Rum Club e collaboratore con la Velier. E’ venuto a Roma per tenere un master sul distillato caraibico, in collaborazione con la Flair Project, scuola di formazione del bartending, presente nel settore ormai da un decennio. Francesco Spenuso, uno dei soci della scuola, lo aveva precisato, che quello di Biondi non sarebbe stato il classico master. Daniele, in effetti, ha messo a disposizione dei partecipanti la sua esperienza. E’ stato un racconto durato anche più del previsto, perché quando sei un appassionato e incontri altri appassionati, il tempo si dilata. Per cui tutte le informazioni più ‘canoniche’ sulla produzione, distillazione e invecchiamento del rum, sono state accompagnate da ricordi di una vita vissuta coi personaggi che il rum lo fanno, lo respirano, lo vivono. Più che a un master, dunque, sembrava di stare in compagnia dell’amico che non vedi da una vita e che rientrato dall’estero ha voglia di raccontarti tutte le proprie esperienze. Quindi, alla fine del percorso, ti rendi conto che non hai soltanto compreso le basi del rum, ma anche cosa significa berlo, quanta cultura ci sia dietro a quel semplice gesto di alzare un suo bicchiere. Le etichette sulle bottiglie lasciano il tempo che trovano. E’ il concetto ‘rum’ che è stato sviscerato, andando a sfatare tutta una serie di ‘fesserie’ che circolano ormai da troppo tempo.

L’invecchiamento – Il rum esce bianco, ovvio, e può invecchiare in botte. “In barile non lo metti a 95%, la volatilità dell’alcol è altissima. Quindi lo si abbassa a 65%”. Per la porosità del legno l’alcol evapora, perdendo parte di quella volatilità. L’aria che penetra nella botte determina il processo osmotico. Un fattore che cambia in base al tipo di legno e, attenzione, anche e soprattutto in base al clima. Un invecchiamento ai Caraibi avviene molto più rapidamente che in Scozia, se pensiamo al Whisky, per esempio. “Però, così come è più veloce la perdita di alcol, è più veloce anche l’affinamento. Dopo 5 anni un rum è più strutturato di un whisky di 5. Si dice che un rum di 5 anni sia paragonabile a un whisky di 15, ma gli europei che erano a capo delle colonie tropicali, si sono guardati bene da dire che l’invecchiamento era molto più rapido”. Altro punto da chiarire: con tutto il rum invecchiato che è immesso sul mercato internazionale, quante botti bisognerebbe produrre? “Non si sa, è un ‘segreto del Governo’, dicono, furbi. Ora, i barili ex sherry costano anche 300 dollari. Uno di bourbon 30. Però passa la linea secondo cui quest’ ultimo sia l’ideale. Potrà pur essere così, ma è giusto dire le cose come stanno, riguardo alla enorme differenza di prezzo. E’ ovvio, poi, che per avere continuità sul mercato, si deve ricorrere ai blend. I millesimati sono una storia a parte”.

Francesco Spenuso durante la masterclass

Francesco Spenuso durante la masterclass

Leggendo un’etichetta di rum invecchiato, la data si riferisce al rum più vecchio, “Sempre che dica la verità”. Col sistema Solera, invece, il concetto di invecchiamento perde di significato. “E’ un po’ un escamotage, il Solera. Perché è un invecchiamento dinamico. In questo modo non è necessario certificare 20 anni di invecchiamento, per fare un esempio. Quindi non ha senso scrivere sull’ etichetta ‘20 anni’. In realtà c’è una media tra il rum più giovane e il più vecchio”. Occhio, dunque, alle date di invecchiamento di rum prodotti con questo metodo. Gli occidentali, con quella concezione per cui invecchiato sia meglio, rischiano di farsi intortare facilmente. Sarà per quello che il popolo caraibico beve solo rum bianco? “Tutto quello che è destinato a invecchiare, va in Francia, se parliamo di rum in stile francese. In quello inglese, a Barbados, si fa molto uso del rum scuro con ginger ale, in Jamaica col ginger beer”. I rum in stile british sono tendenzialmente meno forti di quelli ‘francesi’.

La degustazione – Un consiglio utile a tutti: secondo Daniele Biondi, per riconoscere se un rum è un ‘dolcione’, pieno di zuccheri, basta infilare due dita. Se restano appiccicose, ahimè sarà così. Vorrà dire che sarà stato aggiunto dello zucchero.

Brugal 1888. Rum dominicano, leader in Spagna, dal 2009 è di proprietà scozzese, la stessa della Mac Allan. Un cambiamento non solo di amministrazione, ma di qualità. Da quella data, infatti, ha incominciato ad essere invecchiato oltre che nelle notti di rovere americano, in quelle più raffinate dello sherry. Per cui è un rum con una morbidezza al naso, ma non è un dolciastro. Dice Daniele che “E’ uno dei pochi esempi rimasti che ha aromi di sherry, ma non appartiene ai dolciones”.

Neisson Extra Vieux. Una distilleria non orientata al business. Lo stesso produttore coltiva la canna, bio. Puro succo, fermentazione di 3 giorni e mezzo. Colonna creole in rame. Distillazione continua, come tutti gli agricole. Arriva a un volume del 75%.  “Se andate in Martinica il consumo non è sofisticato. Boccia di rum sul tavolo, bottiglietta di sciroppo. È il loro T punch. Ti tagliano un lime non a cubetti, fanno uno zeste con un po’ di polpa. Ti lasciano tutto insieme, senza ghiaccio. T punch sta per petit punch. È una tradizione sociale, alla francese però. A un inglese non verrebbe mai in mente di bere così. Il primo t punch che si beve si chiama decollage. Ha 55 gradi, ma non punge. Perché è distillato in un pot still. Ha grande ricchezza”.

El Dorado 12. Siamo in Guyana, con un rum di stile inglese, Distillerie Demerara. E’ un blend di otto liquidi, otto distillazioni,

El Dorado 12

El Dorado 12

stili diversi. Per questo è unico. Si tratta di un grande Demerara, con note di legno, floreali, di frutti. “La storia di El Dorado è legata alla storia del rum, che nasce, come dicevo all’inizio, con gli inglesi. Ora, in Guyana non c’è nulla, solo foresta amazzonica. E la capitale Georgetown, tutta in legno. Ha un fascino incredibile. Un grandissimo meltin pot. Un luogo pieno di cinesi, africani, neri. Il guianese è un indiano, in pratica, se lo osservate nei suoi tratti tipici. Comunque, sull’isola c’è una Plantation ,una delle nove dei Caraibi. Nove distillerie, che piano piano cominciarono a chiudere. Poi, però, Yesu Persaud, l’uomo più importante dei Caraibi, per quanto riguarda il rum, dopo l’ ok per chiuderle, decise di mantenerne gli alambicchi. Così, oggi c’è una sola distilleria con dodici alambicchi, anche in legno. Comunque, aldilà di questa storia, bisogna considerare che la bottiglia in sé, come contenitore di vendita del rum, non si trova prima degli anni venti/trenta. Per cui cosa accadeva? Che lì, in Guyana, distillavano in quegli alambicchi e vendevano per clienti inglesi che chiedevano una certa quantità di rum. Eldorado diventa un brand nel 1989, ma di fatto esisteva da secoli prima”.

Worthy part – Worthy gold. Giamaicano autentico. Fatto con due cicli di distillazione in alambicco pot still. La prima esce a 35 gradi. E non è molto bevibile. Col secondo ciclo sale e migliora. Le teste che vengono tagliate, sono il tre per cento circa. Alla fine si tolgono anche le code, oleose, che volendo si potrebbero tenere, non sono velenose. Per esempio, ad Haiti le tengono. Il Worthy gold invecchia 4 anni in botti americane. Un processo di invecchiamento troppo lungo, farebbe perdere il lavoro fatto in produzione.

Rhum Rhum. Libération 2012 a 45 %. Si chiama Rhum Rhum perché “Come lo chiamo un rum più rum del rum?” Si chiese Capovilla dopo averlo assaggiato. Capovilla è un personaggio unico. Negli anni ’60 faceva il meccanico. Poi è divenuto un grandissimo maestro distillatore. Abilissimo a distillare materie prime e frutta. La Velier gli chiese di fare quello che sapeva fare meglio trasferendosi ai Caraibi. Lui accettò, a patto che a Marie-Galant gli portassero quei particolari alambicchi austriaci che

Rhum Rhum. Libération 2012

Rhum Rhum. Libération 2012

fabbricava un suo amico. E qui Capovilla iniziò a distillare, utilizzando soltanto il succo della canna da zucchero che c’è lì, a Marie-Galante. La fermentazione la fa coi lieviti di champagne. Non fa acidificazione come fanno tutti. In pratica questo rum viene distillato a bagnomaria. Un modo, se si vuole, davvero molto raffinato. Infatti è l’unico agricole che fa distillazione discontinua. Non è esattamente un tipico esempio di rum della Guadalupe. Tant’è vero che alla gente del posto non piace molto. In realtà sarebbe una acquavite di canna da zucchero. Capovilla distilla rum allo stesso modo in cui fa le sue acquaviti di frutta, per cui è famoso nel mondo. Nell’ etichetta c’è scritto 2012, perché di fatto è uscito in quell’anno. La dicitura “Liberation 2012” si riferisce a questo, non all’imbottigliamento. Pur essendo giovane, in molti si chiedono da dove arrivi quel colore così scuro. “Allora”, dice Daniele, “dobbiamo uscire dagli schemi. Nello stile latino avrebbe un senso… Qui no. Questo è un rum vecchio di 4 anni e mezzo, ma se lo scrivevano non lo avrebbe comprato nessuno. Invece così riusciamo ad apprezzarlo in tutta la sua grandezza. Aggiungo che fermenta 5 giorni. Non è sottoposto all’ aggiunta di acqua. Capovilla, anzi, è l’unico che fa il rum con purissimo succo di canna da zucchero. E considerate pure che gli altri agricole hanno tre spremiture. Non sono di prima”.

Caroni 15 anni. Prodotto a Trinidad e imbottigliato in Scozia. Una volta era un prodotto per il mercato americano, considerato robaccia. Poi nel 2004 Luca Caroni scoprì la distilleria dismessa. Acquistò tutti i barili rimasti da invecchiamento contenenti il rum. Oggi quel magazzino contiene solo pneumatici, ma iniziò così l’avventura del Caroni. “In principio il rum più vecchio era del 1974, quindi quello del 1982… E il barile del ‘74 era vuoto. Anche quelli degli anni ’80, in realtà. Perché si facevano i refill per non far seccare il legno. Oggi del ‘74 non c’è nulla, ma dell’ ‘82 o ’83 forse a cifre alte, a 400 euro, qualcosa si trova”. La dicitura in etichetta: “From the last Trinidad molasses”, indica che è l’ultimo rum della storia ad essere prodotto con la canna da zucchero di Trinidad.

Infine, l’ultima spiegazione a una domanda che spesso l’ignorante di rum si pone: perché questo distillato, nonostante le numerose etichette (nei Caraibi ci sono 49 distillerie, ma solo ad Haiti, quelle clandestine superano le trecento unità), non sembra distinguibile? “La distillazione lunga sviluppa dei sentori precisi, come acetone, per esempio. Ecco perché rum diversi sembrano simili…”. A quanto pare, non resta che affinare il naso. Buon rum a tutti.

Sito ufficiale della Flair Project www.flairproject.com
Sito gestito da Daniele Biondi www.rumclub.org

Gaetano Massimo Macrì

Martiniano. Bartender/giornalista. Insegnante di quello che – seppur in molti sembrano esserselo dimenticato – va sotto la voce di “American Bar”. Tradotto significa: esigente bevitore al bancone e miscelatore ignorante, perché, come scriveva un ‘collega’ degli anni ’30 del secolo scorso (Elvezio Grassi in “1000 misture”) l’essere un buon barman è “sapere quanto poco noi sappiamo”. Mi sembra un ottimo punto di partenza. Per questo motivo vado in giro per locali, alla ricerca del mio perfetto martini cocktail, nonché del mio bartender di fiducia. Un po’ Ernest Hemingway, un po’ David Embury, un giorno scriverò anche io una ‘bartender’s guide’ o qualcosa del genere. Infine, ma assolutamente non da ultimo per importanza, ecco alcune disposizioni per chi fosse interessato a farmi da bere. Colui che mi preparerà un buon Americano, avrà la mia simpatia. Colui che saprà costruirmi un Boulevardier degno di nota, otterrà la mia riconoscenza. Se, poi, non solo non disdegnerà un Old Pal, ma sarà in grado di equilibrarmelo nella coppetta, godrà di tutta la mia più profonda stima. Il martini, tuttavia, è un’altra faccenda.

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