Tecniche a confronto: Hard Shake vs Shakerata classica

Abbiamo già affrontato più di una volta molti dei temi centrali per lo sviluppo del mondo del bartending. Hosting, formazione, cultura del bere sono, secondo noi, centrali per la crescita sistematica di questo mondo. Con lo stesso spirito abbiamo deciso di coinvolgere alcuni fra i migliori bartender della Capitale per un esperimento sulle tecniche di miscelazione. Fra mode e falsi miti è infatti importante provare a fare chiarezza in un mare di improvvisazione ed approssimazione, facendo, al tempo stesso, il punto della situazione sull’attuale miscelazione in Italia. Le “chiacchiere da bar” fra i bartender, dalle quali è nata anche l’idea di questo esperimento, hanno rappresentato uno dei momenti più alti del nostro incontro con Massimo D’Addezio, Emanuele Broccatelli, Federico Tomasselli e Grazia Di Franco; momenti incredibili per chi, come noi, ama il mondo della miscelazione.

Il duo trio test

L’idea iniziale di questo primo esperimento, nata dal confronto con barman e bartender, non aveva, e non ha, alcuna pretesa scientifica. Niente fisici o chimici dunque, ma solo la volontà di far provare, a palati esperti, drink preparati con tecniche diverse; da qui la scelta di un blinding taste che convolgesse alcuni fra i massimi esponenti della miscelazione nostrana. E’ invece di

Grazia Di Franco, Massimo D'Addezio, Federico Tomasselli ed Emanuele Broccatelli

Grazia Di Franco, Massimo D’Addezio, Federico Tomasselli ed Emanuele Broccatelli

Raffaele Rendina, enologo di Rosso Peynaud, l’idea di applicare ai cocktail una tecnica molto utilizzata nel mondo del vino: il duo-trio test. Questo metodo è utilizzato per valutare se esiste una reale differenza sensoriale fra due prodotti. In particolare si rivela particolarmente efficace quando i campioni da testare presentano un gusto marcato che potrebbe portare ad un rapido accostamento. Per l’esecuzione del test vengono utilizzati tre campioni, uno di riferimento (T) e due (A; B) di cui solo uno corrisponde al campione T. Grazie a questo metodo è possibile liberare il campo da quegli inganni dei sensi in cui sarebbe facile cadere avendo davanti a sé solo due bicchieri.

Una volta stabilita la metodologia per l’analisi sensoriale non restava che aprire le danze. Per avere un risultato confrontabile le singole tipologie di cocktail dovevano, ovviamente, essere preparate con gli stessi ingredienti, lo stesso ghiaccio e la stessa mano. Per questo ad ogni bartender è stato assegnato (grazie alla supervisione di Massimo D’Addezio) un cocktail da preparare con due tecniche diverse. Federico Tomasselli, fresco vincitore italiano della Bacardi Legacy, ha realizzato un “daiquiri” con hard shake e shakerata classica, Emanuele Broccatelli dell’R Cocktail bar dell’Hotel Majestic di Roma, un “bourbon sour” con dry shake e dry shake reverse e un “Negroni” throwing e miscelato, Massimo D’Addezio, padrone di casa qui al Chorus, un “vesper martini” shakerato e miscelato, e Grazia Di Franco, anche lei del Chorus, un “bloody Mary” throwing e shakerato.
Fra miti sfatati, mode inconsistenti e piacevoli scoperte il risultato è stato sorprendente, avviando un dibattito che, siamo certi, non finirà qui.

Hard Shake vs Shake

Dom Costa

Dom Costa

Le prime due tecniche confrontate sono anche quelle che maggiormente accendono il dibattito fra gli addetti ai lavori: hard shake vs shakerata classica. Prima di addentrarci nella descrizione dell’esperimento è bene spendere due parole su una tecnica particolare che di “hard” ha onestamente molto poco, anzi, come ricorda Simon Difford nella sua Difford’s guide, “it’s gentle”. Creato da Kazuo Uyeda, l’hard shake è una tecnica di shakerata creata per far scivolare il ghiaccio all’interno dello shaker evitando quei movimenti che causano una frantumazione dei cubetti gli uni sugli altri. Un metodo intimamente nipponico che fa della della bellezza e della fluidità del gesto un elemento fondamentale. Proprio l’abuso di questa tecnica, anche in contesti non certo consoni, ha provocato forti critiche, da parte di chi, come Dom Costa (leggi l’intervista completa su Wispr), sostiene che “appartiene a una tradizione che non ci riguarda, è corretto che la facciano i giapponesi”. Anche Stanislav Vadrna (leggi il suo commento su Wispr), colui che, di fatto, ha diffuso l’hard shake qui da noi, incontrato in una serata a La Moderna a Roma, ha sottolineato come questa tecnica sia parte della cultura giapponese e del suo modo di intendere il bar. Proprio per cercare di fare un po’ di chiarezza (per primi a noi stessi) abbiamo confrontato con il duo-trio test due classici “daiquiri”, uno preparato con l’hard shake e l’altro con una shakerata classica (leggi la descrizione completa dell’esperimento su Wispr).


Daiquiri: Havana 3 60 ml,  Succo di lime 25 ml, Zucchero di canna bianco 2 spoon


Già a prima vista era immediatamente riconoscibile la differenza fra il drink miscelato con la tecnica giapponese (B;T) e quello realizzato con una shakerata tradizionale (A). Anche all’assaggio le due tipologie di cocktail presentavano caratteristiche diverse. Il “daiquiri hard-shake” rivelava infatti note sour decisamente più marcate e un sorprendente e persistente sentore amaro. Proprio per queste peculiarità ben cinque degustatori su sei hanno preferito il “daiquiri” preparato con metodo classico. Solo Emanuele Broccatelli ha scelto il cocktail miscelato con l’hard shake che, secondo il suo palato, risultava maggiormente amalgamato e persistente in bocca. A differenza di altri confronti (che racconteremo nelle prossime “puntate”) la dialettica fra hard shake e shakerata classica non ha dato risposte certe. Pur evidenziando una reale ed evidente differenza, tanto alla vista, quanto all’olfatto e al gusto, la scelta sulla tecnica da utilizzare, resta, in questo caso, semplicemente una questione di palato.

Giampiero

Dal cinema al whisky il passo può esser breve. Basta fare un viaggio in Scozia, perdersi magari nel cuore delle Highlands, e ritrovarsi a chiacchierare in un piccolo pub di Ullapool parlando di torbatura e imbottigliamenti. Nasce così una passione travolgente, girando l’Italia, l’Europa (e non solo) di degustazione in degustazione, di locale in locale... alla scoperta del meglio che questo universo può offrire. Cocktail preferito: Rob Roy Distillato preferito: Caol Ila 25 yo

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