Il Vermouth raccontato da Fulvio Piccinino

C’è chi lo definisce “un cocktail in bottiglia”, chi ne esalta le caratteristiche in miscelazione e chi, come Fulvio Piccinino, ne studia passato e tradizione, produzione e diffusione: stiamo parlando, ovviamente, del Vermouth. La storia di questa produzione, raccontata da quello che può essere tranquillamente considerato uno dei massimi esperti in materia, nella masterclass organizzata a Roma dalla scuola di bartending FlairProject, ha origini antichissime.  Chiunque abbia frequentato un liceo classico ricorderà forse, fra le nozioni più curiose apprese, come, già ai tempi dei romani fosse uso aromatizzare il vino con spezie ed erbe. E’ Apicio, in particolare, a riportare la “ricetta” del “mulso”, mosto emulsionato con miele, e del “conditum paradoxum”, vino aromatizzato con datteri e spezie. Il nome “vino ippocratico”, epiteto ricorrente del vermouth, si deve invece non alla

Uno scatto dalla masterclass organizzata da FlairProject

Uno scatto dalla masterclass organizzata da FlairProject

trascrizione o alla creazione di particolari ricette da parte del medico di Coo, quanto all’utilizzo, per il filtraggio, delle “maniche di Ippocrate”, imbuti di tessuto atti a trattenere le spezie. La diffusione, in epoca medioevale, di queste tipologie di produzioni, è invece legata ad un uso di tipo farmaceutico e medicamentoso, ben testimoniato dal “De Secreti”, opera di Alessio Piemontese, che riportava scritti e ricette di cure sopravvissute all’oscurantismo dell’inquisizione. Le successive testimonianze della produzione di Vermouth si devono soprattutto al Villafranchi che, nella sua “Enologia Toscana” del 1773 cita preparazioni a base di vino bianco ed erbe. Nel 1887, molto dopo la nascita della Carpano, Ottavio Ottavi, nel suo libro “Vini ed aceti di lusso”, attribuisce alla Germania la paternità del Vermouth. Una notazione interessante soprattutto se ci si ferma a riflettere sull’etimologia stessa della parola Vermouth. L’origine del nome è infatti incerta. La teoria più accreditata vede derivare questa parola dal termine tedesco “wermut”, utilizzato per definire l’Arthemisia Absinthum. Una seconda ipotesi, molto più colorita, è legata alla leggenda di un vino aromatizzato creato da un erborista francese del Re Sole, popolare fra le truppe che combattevano in Germania, che i soldati tedeschi solevano chiamavano Wehr-Mut, “coraggio liquido”. L’adozione del termine nella Torino dei Savoia, è invece legato alla volontà delle famiglia di richiamare le origini sassoni della loro dinastia.

Veniamo ai giorni nostri. Per la legge italiana può essere definito “vermouth” un prodotto composto almeno per il 75% da vino, fortificato, dolcificato e aromatizzato con spezie e botaniche, di cui, il principale è l’assenzio. Il grado alcolico e il tenore zuccherino varia a seconda della tipologia: bianco, rosso e rosè necessitano di un minimo di 14,5° (e un tenore zuccherino minimo del 14%) mentre il dry deve avere un grado minimo di 18° (e un tenore zuccherino massimo del 12%). E’ interessante sottolineare come il vermouth rosè sia l’unico caso in cui sia ammessa, dalla legislazione italiana, la miscelazione fra vino roso e vino bianco per ottenere il risultato voluto (il vino rosè si ottiene infatti per salasso dei mosti o brevi macerazioni delle bucce). Si differenziano invece per le diverse botaniche presenti l’Americano, in cui il principio amaricante è dato dalla genziana (e non dall’assenzio), e il vino chinato, il cui carattere amaro è restituito dalla corteccia di china calissaia).

Breve storia del Vermouth di Torino

Una storica etichetta della Carpano

Una storica etichetta della Carpano

Mentre, nelle opportune sedi europee, si riflette sull’assegnazione del marchio “d.o.c.” al vermouth di Torino, appare importante ripercorrere, brevemente, le tappe principali della diffusione di questo prodotto. Sempre guidati da Fulvio Piccinino riscopriamo così la storia di Antonio Benedetto Carpano, che, verso la fine del ‘700, era attivo a Torino come pasticciere. Proprio per lapreparazione delle bagne per i suoi dolci iniziò ad elaborare un prodotto a base di vino di Moscato, con infusione di frutta e spezie, secondo la tradizione del “ratafià” della Valsesia, di cui era originario. Il primo vermouth fu così prodotto nel 1786 ed ebbe un immediato successo. La diffusione di questo vino aromatizzato presso la corte di Re Vittorio Amedeo III, Re di Sardegna fra il 1773 e il 1796, fece nascere un gran numero di produttori fra cui Cora, Gancia, Martini & Rossi, Cinzano e gli ormai scomparsi Ballor e Chazalettes. La storia della Carpano è però forse la più interessante e rappresentativa. Nel 1874 la “Fabbrica Vermouth & Liquori” di Giuseppe Benedetto Carpano fu ceduta ai due figli, Luigi ed Ottavio, che decisero di aprire due magazzini con opificio fuori dalla cinta daziaria di Torino. La scelta logistica di costruire una delle due fabbriche vicino a quello che diventerà il Lingotto, la sede storica della FIAT, costerà molto caro alla famiglia Carpano. Durante un bombardamento alleato nel 1943, infatti, alcuni colpi diretti verso l’azienda automobilistica (che allora forniva armi all’esercito italiano) centrarono lo stabilimento Carpano, distruggendolo. L’azienda fu riaperta nel 1946, grazie anche all’aiuto della famiglia Turati, che garantì anche un cambio di strategia comunicativa e pubblicitaria al marchio, tanto da divenire, successivamente, un simbolo del boom economico (si ricorda in particolare una sponsorizzazione del Giro d’Italia).

La produzione e l’aromatizzazione del Vermouth

Il Vermouth tradizionale era prodotto, in Piemonte, in inverno, attraverso l’infusione in botti da 50 litri circa. Queste botti venivano poste, al freddo, sotto ai tetti in modo che, durante la lenta infusione, i tartrati cristallizzassero e precipitassero insieme

Una foto d'epoca della Cinzano

Una foto d’epoca della Cinzano

alle impurità. In un liquido a 20° circa, frutto della miscelazione di alcool e vino, venivano messe in infusione erbe raccolte direttamente sul territorio. Nelle prime ricette erano infatti assenti le spezie più esotiche e costose. L’assenzio, molto presente in tutte le campagne, era alla base di queste preparazioni. Successivamente la tecnica di produzione del Vermouth fu perfezionata seguendo due strade principali. Da un lato coloro che fortificavano il vino  attraverso un’iniziale infusione a freddo in alcool dei botanici cui veniva successivamente unito il vino (metodo utilizzato maggiormente in Italia) e dall’altro coloro che invece infondevano prima il vino per poi aggiungere, in un secondo momento, l’alcool (metodo diffuso per lo più in Spagna e Portogallo). Un’altra possibile tecnica di preparazione del Vermouth prevedeva l’infusione separata delle droghe e delle erbe. In questo caso si utilizzavano alcoli a gradazione diversa a seconda dei botanici; cortecce e bacche, ad esempio, necessitavano di alcool più forte rispetto ai fiori. Si poteva lavorare, infine, anche con infusioni uniche a caldo, attraverso l’uso di vapore che riscaldava l’infusore accelerando i tempi di estrazione. Qualsiasi tecnica si decidesse di utilizzare una volta effettuata l’infusione si procedeva a filtrare il tutto attraverso stoffe o trame di iuta e ad addizionare zucchero imbiondito o caramello al fine di legare, addolcire e colorire il prodotto.

Per quanto le ricette restino a tutt’oggi segrete sono ben note le spezie e le erbe utilizzate. E’ importante sottolineare come tutti gli elementi presenti nel Vermouth debbano essere necessariamente naturali, eccezion fatta per la vaniglia, le cui particolari condizioni di coltivazione e raccolta, rendono necessario l’utilizzo di un aroma sintetico. Per quanto riguarda gli altri botanici presenti nelle varie ricette il posto d’onore, va riservato, come detto all’assenzio che evidenzia, sin dal nome (Absinthium, senza dolcezza), la sua caratteristica dominante amara. Pianta perenne con radice a fittone è nota, sin dall’antichità, per le sue proprietà antitossiche, digestive, toniche ed antinfiammatorie. Largamente diffusa su tutto il territorio

L'artemisa absinthium

L’artemisa absinthium

nazionale trova da sempre un grande utilizzo per la preparazione di macerati alcolici e distillati. Fra le altre erbe presenti nelle molte varianti del Vermouth vanno certamente ricordate quelle appartenenti alla famiglia del Timo, del Dittamo e della Melissa, piante erbacee comuni a tutti i luoghi freschi, con qualità toniche e digestive, molto impiegate anche a scopo profumiero date le caratteristiche note aromatiche. Del Sambuco, comunissimo lungo le siepi campestri, sono invece i fiori ad essere impiegati per la preparazione del Vermouth così come per lo Zafferano, spezie dalla difficile raccolta, i cui stimmi sono presenti sin dalle prime preparazioni galeniche come il “Laudano” o l’ “Elisir di Garus”. Molte sono anche le radici presenti nelle ricette dei vini aromatizzati; radici quali quelle della Zedoaria, dell’Angelica, del Calamo Aromatico, originario dell’India ma naturalizzato in tutta Europa, il cui infuso (in purezza è velenoso) ha proprietà eupeptiche, e della Genziana, presente in diverse specie lungo le Alpi (alcune delle quali velenose), utilizzata tipicamente per la sua decisa amarezza e per le qualità digestive. Cortecce, come quelle della Quassia, e frutti legnosi, come quelli dell’Anice Stellato, sono altresì presenti in molte ricette, così come altri frutti quali il Finocchio, il Coriandolo, il Cardamomo, il Macis, spezie originaria delle Molucche utilizzata per la produzione del curry, e la Noce Moscata di cui è l’involucro.

Giampiero

Dal cinema al whisky il passo può esser breve. Basta fare un viaggio in Scozia, perdersi magari nel cuore delle Highlands, e ritrovarsi a chiacchierare in un piccolo pub di Ullapool parlando di torbatura e imbottigliamenti. Nasce così una passione travolgente, girando l’Italia, l’Europa (e non solo) di degustazione in degustazione, di locale in locale... alla scoperta del meglio che questo universo può offrire. Cocktail preferito: Rob Roy Distillato preferito: Caol Ila 25 yo

Be first to comment