Al The Gin Corner il primo appuntamento per The Gin MasterClass – The Alchemist. Ecco quello che è successo, con Tommaso Tajé e il Plymouth Gin, mentre aspettiamo la seconda lezione questa sera, con Mauro Lotti e Alex Frezza.
Metti un pomeriggio un esperto di gin e distillati insieme a un grande gin sul palcoscenico. L’esperto si chiama Tommaso Tajé, il distillato in questione era il Plymouth. Il palcoscenico è stato offerto dall’Hotel Adriano per la prima lezione delle ‘The Gin Masterclass – The Alchemist”. Un mix di ingredienti (gin lovers, luogo dedicato, maestri della materia) che fortunatamente andrà avanti ancora per altri appuntamenti già messi in calendario. Intanto, come si dice, ‘buona la prima’, che proviamo ora a
raccontare attraverso le suggestioni offerte.
Sul bigliettino da visita di Tommaso Tajé c’è scritto: “Senior Luxury Consultant”. Una etichetta importante, per un gin effettivamente di grande storia e blasone, se si vuole. Parla proprio Tajé, dopo le presentazioni di rito di Patrick Pistolesi, del gin di Plymouth. Con un discorso lineare e semplice, ma infarcito di parole e aneddoti preziosi, ci guida nel mondo del gin e della sua degustazione. E’ affascinante la storia che racconta, anche perché il mondo che descrive è già intessuto di una sua suggestione . Parliamo di marinai della Royal Navy, di monaci, di tradizioni secolari, di Padri pellegrini. Il Plymouth Gin è protagonista di una storia che ha il sapore del ‘vecchio’, inteso come tradizione, ma che si rivolge al moderno, per il successo costante di cui ancora si può fregiare. Da 200 anni viene prodotto nello stesso alambicco. Dicono sia un po’ irregolare rispetto ai soliti, ma è proprio questo che gli offre quel suo carattere particolare. Potrebbero sostituirlo per aumentare la produzione, ma nessuno intende farlo. Ecco cos’è Plymouth. Sette botaniche, un ginepro ben presente, note fresche , di agrumi evidenti. Non è un classico London Dry. E’ il Gin di Plymouth e basta. L’unico distillato ad avere una sua indicazione geografica protetta (Igp). “Ci avevano provato i londinesi a farlo”, racconta Tajé, ma figuriamoci. In un paese legato alle tradizioni, queste non si toccano, figurarsi se qualcuno intende ‘rubarle’. Oggi, dunque, il ‘Plimouth Gin’ è una tipologia, e può essere solo quella fatta nella piccola cittadina di Plymouth affacciata sul mare, anzi, più esattamente nella Black Friars Distillery (l’unica oggi rimasta). Un ex convento dei frati domenicani, divenuto poi prigione e dal 1793 distilleria. Da allora non ha mai smesso di essere prodotto e di solcare i mari. E al mare questo gin è strettamente legato e deve forse il suo successo. Le navi della Marina reale britannica trasportano nelle stive casse di Plymouth sin da quando è nato. E “Quando la bandierina bianca e blu di
Plymouth Gin è issata, significa che è il tempo del ‘Gin&Tonic’ per tutti”, offerto dai marinai, spiega Tajé questa abitudine ininterrotta dagli anni Cinquanta. Al The Gin Corner è presente proprio un box come quello delle navi inglesi. Un set completo – con tanto di bandierina di tutti gli occorrenti per fare un perfetto “Gin&Tonic”. In realtà le bottiglie che finiscono sulle navi possiedono una gradazione alcolica maggiore e sull’etichetta campeggia la scritta “Navy Strenght”. Da quel che si racconta, il gin veniva posizionato là dove c’era anche la polvere da sparo. Allora, per evitare che questa potesse perdere funzionalità, se bagnata accidentalmente dal gin, si iniziarono a imbarcare solo bottiglie con “gradazione da marina” (57°). Parlando di Plymouth non si può non dire che c’è tanta storia anche nel packaging attuale. La bottiglia è stata modificata in una forma un po’ più retrò, con il tappo in rame in ricordo dell’alambicco di rame usato da circa due secoli. Al centro si vede una imbarcazione, è la Myflower, la nave dei Pellegrini che salparono per il Nuovo mondo nel 1620, proprio dal porto di Plymouth. E pare che trascorsero l’ultima notte nel convento dei ‘Frati neri’. Si intravede anche un monaco, chiaro riferimento al convento/distilleria. Nella vecchia bottiglia era collocato nel retro dell’etichetta posteriore, visibile ‘all’interno’ dunque. Da lì la storiella che quando i sandali del monaco erano asciutti, era segno che si dovesse prendere una nuova bottiglia…
La degustazione
Come si degusta un gin? Liscio, bocca pulita, bicchiere tenuto a distanza di 20/30 cm dal naso. Su consiglio di Tajé dopo col primo sorso apriamo la bocca per percepire meglio tutti gli aromi. Il ginepro è evidente, come la parte alcolica. Le scorze degli agrumi fanno il loro corso. Sul finale una punta di dolce dovuto all’angelica. Non rimane dunque il finale amarognolo di un classico London Dry. Secondo
assaggio, le percezioni cambiano, si innestano nuovi sapori. La lingua picca e il finale è sempre (forse ancora di più) dolce e persistente. Per apprezzare meglio le caratteristiche del Plymouth, abbiamo tentato una comparazione, degustando alcuni London Dry come il Beefeater 24. Più complesso, con le sue dodici botaniche. Sicuramente il Tè e la polpa di pompelmo giallo gli conferiscono un gusto particolare. Il finale è sicuramente più amaro. E il più classico Beefeater, “che racchiude tutto l’essenziale del gin”. La tipologia London Dry “Taglia la lingua in maniera verticale, mentre il Plymouth lo faceva in maniera orizzontale”, Tajé tenta con questa immagine di farci raggiungere la comprensione in modo rapido. Ultimo dettaglio non insignificante, anzi, il cibo. La vera chicca che quest’anno pare sarà la sfida del The Gin Corner, sarà proprio il tentativo di abbinare il cibo col gin. Nel buffet offerto era possibile ritrovare le botaniche presenti nel Plymouth. Un piccolo gioco per rendere ‘The Alchemist’ più avvincente.
Il pubblico accorso al The Gin Corner ringrazia Tommaso Tajé per la ‘consulenza’ resa e il piccolo viaggio narrato. Lui a sua volta ha ringraziato il Gin Act che imponendo una tassa di 50 sterline sui produttori di gin, per limitarne la produzione e quindi i danni derivati per il dilagante alcolismo in Inghilterra, “spinse gli stessi a produrre meglio. ‘Facciamolo bene, per farlo pagare di più, così ci ripaghiamo le spese delle tasse’, questo il senso, che poi rappresentò l’evoluzione del gin”. Tanto per capire a quali cifre si andava incontro, Tommaso ha fatto un paragone: “50 sterline di allora corrisponderebbero a un appartamento in centro a Roma”. E proprio in centro a Roma, vi invitiamo ad andare questa sera per il secondo appuntamento, dedicato al “Martini Cocktail” attraverso le sue diverse declinazioni, con Mauro Lotti e Alexander Frezza. Buon Gin a tutti.
Per prenotazioni e informazioni: eventi@hoteladriano.com
La gallery della prima lezione, sulla pagina ufficiale Facebook del The Gin Corner (Foto di Andrea Chiodi)