Il ruolo del Brand Ambassador

Hashtag giusti, foto, video e copy efficaci, brevi e rappresentativi del marchio. Sono le armi di un brand ambassador, cui ormai da anni le aziende si rivolgono per penetrare in modo mirato il proprio target nel mercato.
Non chiamatelo influencer. Quest’ultimo ha un ampio bacino di utenza, anche di milioni di followers, costituisce un esempio da seguire, un modello di lifestyle. L’ambassador può avere anche solo qualche centinaio di seguaci, un pubblico più targhettizzabile, spesso la maggior parte dei follower li conosce personalmente. La sua attività consente all’azienda di mantenere alto il livello di brand reputation, delinea una precisa brand identity e, non da ultimo, incentiva la brand awareness.

SAVE_20201121_180127Come si diventa? Nel mondo del bar è una domanda ormai che si pongono in tanti. Pochi sanno, ad esempio, che esistono sistemi automatici per trovare il giusto profilo. Come Combin Growth, che analizza gli hashtag, i post, i commenti, i like, i follower e i following. In pratica la web reputation. Quindi, occhio a curare questi aspetti social. “Aggiungerei anche LinkedIn, spesso funziona anche il passaparola e utili sono poi le gare, legate a un brand, che ti consentono di fare, se vinci, un anno da ambassador”, spiega Francesco Spenuso, brand ambassador per Jack Daniel’s.
Rispetto ai più noti influencer, poi, gli ambassador sono persone ‘normali’, più ordinarie. La bellezza della loro normalità è proprio la chiave di successo che il brand vuole. La perfezione non è più quasi di moda.
“La cosa importante – continua Spenuso – è trasmettere i principi fondamentali del brand al pubblico di rifermento, in maniera genuina. Conta molto la spontaneità. Le persone alle quali parli capiscono se stai fingendo”.

Quindi, in sostanza, bisogna rispecchiare l’identità del brand. Se si opta di intraprendere questa carriera, non è bene che lo si faccia a caso. Un brand non vale l’altro.
“Assolutamente no. Un ambassador incarna al 100% i valori e lo spirito dell’azienda. Non è detto, altresì , che questa figura professionale possa rispettare i parametri, nonché gli standard e le caratteristiche di aziende diverse tra loro”. In sintesi, è uno che ci deve credere. Facciamo un esempio, uscendo dal mondo del bar. Ronaldo è l’ambassador perfetto per Dazn. Chi potrebbe dire che non incarni i valori dello sport che pratica?

SAVE_20201121_180200Sulle competenze di questa figura, si può dire che alcune si giochino online. Non sono da sottovalutare, però, quelle offline. Anzi, soprattutto in questa fase in cui, a causa del covid, le attività sono ridotte, si può sfruttare l’occasione per aumentare altre skill. Interviste, articoli, video. Un ambassador è vivo prima, durante e dopo un evento.

“Se prima del covid, ovviamente, le masterclass venivano fatte in presenza, in loco, oggi, parlo ovviamente per me – sottolinea sempre Spenuso – nel caso specifico di Jack Daniel’s, il Tennessee Campus che veniva organizzato in 5 città italiane, è stato trasformato in un e- campus online. Con le stesse caratteristiche del campus in presenza. Quindi, è sempre una giornata di formazione, là dove si facevano masterclass e seminari, adesso organizziamo webinar, in più sto preparando anche degli articoli di approfondimento su argomenti che svilupperò nelle lezioni online, ricette e pillole. È un progetto che partirà da dicembre 2020 fino a giugno 2021”.

I prossimi mesi di isolamento temporaneo e forzato, se non altro consentiranno di focalizzare l’attenzione su studio e formazione, anche a distanza.

Gaetano Massimo Macrì

Martiniano. Bartender/giornalista. Insegnante di quello che – seppur in molti sembrano esserselo dimenticato – va sotto la voce di “American Bar”. Tradotto significa: esigente bevitore al bancone e miscelatore ignorante, perché, come scriveva un ‘collega’ degli anni ’30 del secolo scorso (Elvezio Grassi in “1000 misture”) l’essere un buon barman è “sapere quanto poco noi sappiamo”. Mi sembra un ottimo punto di partenza. Per questo motivo vado in giro per locali, alla ricerca del mio perfetto martini cocktail, nonché del mio bartender di fiducia. Un po’ Ernest Hemingway, un po’ David Embury, un giorno scriverò anche io una ‘bartender’s guide’ o qualcosa del genere. Infine, ma assolutamente non da ultimo per importanza, ecco alcune disposizioni per chi fosse interessato a farmi da bere. Colui che mi preparerà un buon Americano, avrà la mia simpatia. Colui che saprà costruirmi un Boulevardier degno di nota, otterrà la mia riconoscenza. Se, poi, non solo non disdegnerà un Old Pal, ma sarà in grado di equilibrarmelo nella coppetta, godrà di tutta la mia più profonda stima. Il martini, tuttavia, è un’altra faccenda.

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