Uno, due, cento Negroni.

Ormai è un ‘centenario’, un ‘intramontabile’, ma è giusto che la ricetta di ‘sua Maestà’ il Negroni (anche se sarebbe da dire il conte) si perpetui identica a se stessa nella preparazione o è lecito declinarla in altre forme più moderne? E fino a quanto ci si può spingere oltre? Ecco come alcuni barman capitolini la reinterpretano. 

Bere un Negroni significa bere un pezzo di storia italiana. La fama mondiale di questo cocktail porta lustro al bere miscelato nostrano da sempre o, per lo meno, da quando fu inventato in quel di Firenze nella prima parte del 1900. Due dei tre ingredienti con cui è nato – Bitter Campari e vermut rosso (insieme costituiscono il famoso “MiTo”, altro drink italianissimo) – rappresentano il fiore all’occhiello della nostra liquoristica. Lo sposalizio con il gin, poi, è praticamente perfetto. Un equilibrio unico tra il secco, il dolce e le note amaricanti, che hanno consentito al cocktail di diffondersi ovunque e di dominare gli aperitivi, siano essi in splendide terrazze di hotel a 5 stelle, come in piccoli ‘baretti’ di periferia. Il ‘popolo’ del Negroni è numeroso e cocktail negronivariegato quanto i carri del carnevale di Viareggio, ma una nota lo accomuna: sa cosa vuole bere. E vuole un drink forte, deciso, ‘bitterato’ quanto basta. Con queste caratteristiche il Negroni è in grado di soddisfare dai palati meno esigenti – quelli che in discoteca #solonegroni, perché è una garanzia rispetto a tanti ‘bibitoni’ che vengono preparati – a quelli più raffinati che oggi, con le ultime tendenze in voga nei locali, si trovano a poter compiere una scelta più ampia. Infatti, la presenza nei bar di numerose etichette dei tre prodotti che lo compongono – tutte di grande pregio – offre la possibilità di spaziare sul gusto e di fare un’esperienza sensoriale diversa. Questo ci porta a esaminare più da vicino la ricetta, poiché, da come si può intuire, per ogni prodotto che si scelga di utilizzare, avremo anche un cocktail con sfumature differenti, pur mantenendo intatta la sua ‘decisa’ personalità.

La preparazione: uno, due, cento Negroni

Costruito direttamente nel bicchiere? O perché non miscelare gli ingredienti delicatamente? E ancora: in coppetta senza ghiaccio o nel classico tumbler? La fetta d’arancia o solo la scorza? Magari i più ‘viziosi’ potrebbero aggiungere qualche goccia di un bitter aromatico (al cioccolato? Piccante? Vanigliato?). E vogliamo parlare della scelta dei vermut? Da quello dal retrogusto più amarognolo a quello più dolce, fino a un prodotto dal tocco ‘vellutato’. Per chi è appassionato di vermut o ne ha uno di elezione, la scelta dell’etichetta diviene fondamentale. E poi bisogna anche capire come possa ‘sposarsi’ insieme al Campari e al tipo di gin. Affidarsi alle mani di un barman esperto sarebbe buona regola, a questo punto. Pur essendo costituito da tre prodotti in tre parti uguali, del Negroni dobbiamo capire quali sono le sfumature che preferiamo cogliere. A quale dei tre ingredienti affidare maggiormente la responsabilità di tenerci compagnia nella bevuta. Il ragionamento sul vermut può essere compiuto in analogo modo anche sul gin e sulla parte ‘bitterina’. La tripletta di variabili  – 1 X 2 – moltiplica le combinazioni. A ognuno, dunque, il suo Negroni preferito. Messa in questi termini, sembrerebbe di capire che di Negroni ce ne siano a decine. Invece no. Non commettiamo l’errore banale di pensarlo. Il cocktail di cui stiamo parlando è uno e uno solo. Secco (per il gin), dolce e amaro (per quella parte di ‘MiTo’ che rimane, il bitter e il vermut). Detto questo, possiamo chiedergli di più? Sì, come si diceva prima. Il numero delle variazioni sul tema è pressoché infinito. Il ‘twist’ (come si dice in gergo) sul Negroni sta diventando, anzi, quasi necessario. Dopo un secolo di vita, è giusto riproporlo in chiavi nuove, senza però scomporne l’equilibrio. Abbiamo fatto un ‘giro’ in vari locali romani, per capire come alcuni barman capitolini lo hanno reinterpretato sulla base del gusto dei loro clienti e sulla loro personale esperienza.negroni

Al Friends di Piazza Fiume, Giulia Castellucci propone questa versione: Beefeter, vermut bianco Oscar 697, Biancosarti, in parti uguali. Doppia scorza, di limone e arancia, per guarnire. Sparisce il ‘rosso’ Campari, dunque, ma non necessariamente la sua vena amaricante, “per questo ho scelto di usare comunque il Biancosarti, che oltretutto ha una gradazione simile al Campari. Poi come vermut ho preferito Oscar 697, che anche se bianco, è più speziato di altri”. Giulia lo sta per inserire nel nuovo menu, col nome de “Il Conte”. Per i puristi vederlo ‘ in bianco’ sembrerà un’offesa, forse, ma all’assaggio si è dimostrato ben strutturato. L’esperienza di una sua bevuta ci ha piacevolmente sorpresi. Una vera alternativa.

Al Nibiru Space Bar, nei pressi del Gazometro (Ostiense), abbiamo trovato ciò che magari non ti aspetti. Nel locale più ‘alieno’ e futuribile in cui siamo stati, il Negroni proposto è strettamente legato al passato. La ricetta del barman, Stefano Rosasco, prevede un gin alla lavanda (home made, fatto da lui stesso), vermut bianco Oscar 697, tagliato con il Porto Tawny, Bitter Campari e la scorza di pompelmo. “La lavanda che uso per aromatizzare il gin ha il profumo della mia infanzia. Mi ricorda l’epoca felice dei nonni che con questo fiore profumavano i panni e mi ricorda anche un liquore sempre alla lavanda, che loro usavano”.

A Borgo Pio, nei pressi di San Pietro, c’è un piccolo locale dove tutti i cocktail sono preparati all’interno di un barattolo – da qui il nome, Il Barattolo. Edoardo Di Fuccio, il barman, ha profondamente rivisitato il drink per proporre un Negroni anche al pubblico femminile, spesso poco propenso al suo assaggio. La ricetta prevede gin (sempre un London dry), Lillet Rouge, Aperol. Scorza di pompelmo e due gocce d’Angostura bitter per chiudere il tutto. Sono stati cambiati due ingredienti su tre: “L’ho studiato per la clientela femminile che vuole bere forte ma anche con un gusto amabile”, ha raccontato Edoardo. Davvero un twist estremo, si potrebbe dire. E il suo successo? “Quando l‘ho proposto me lo hanno sempre richiesto”. Lo abbiamo provato, in effetti è abbastanza insolito come Negroni. Forse più che un twist è proprio un’altra ricetta. Sicuramente risulta molto amabile, adatto al palato femminile che mal sopporta il Bitter Campari. negroni in coppa

Luca Buccioni del Civico 4, nel rione Monti, serve il suo Negroni senza grossi stravolgimenti: “Cerco di attenermi il più possibile alla ricetta originale. Metto un dash di soda a sostituzione del seltz d’origine e ossigeno molto il drink col trowing”. Dunque la novità maggiore in questo caso è proprio la tecnica di preparazione. Per il resto è Martini rosso (“uso il Punt & Mes per il MiTo”), Bitter Campari e gin Tanqueray. Oltre alla classica fetta d’arancia, “una scorza di limone per esaltare i sentori del vermouth e del bitter”.

Non poteva infine mancare una visita al Gin Corner, all’interno dell’ Hotel Adriano, dove il gin, ovviamente, è di casa. “Per questo, avendo una così ampia scelta, ci ha spiegato il barman Dario Araneo, cerchiamo di cucire addosso al cliente il suo Negroni”. E infatti, la prima domanda che Dario ci pone, riguarda quale tipo di gin possa piacerci. Ci spingiamo su toni molto aromatici. La proposta cade sul Bathtub Gin, con 48,8 % vol. Una esplosione di ginepro, seguita dalle note del cardamomo. Alla fine ecco il Negroni ‘su misura’: Bathtub Gin, vermut Cocchi, Bitter Campari, due gocce di Bitter Truth ‘Grapefruit’, scorza di limone. Il bouquet del gin si sente, soprattutto il ginepro, non c’è che dire. Attimi e la corsa vellutata del Cocchi si inserisce ‘arrotondando’ il gusto. Le aspettative sono state centrate. Dario confessa che spesso è lui a proporre il Negroni alla clientela, “Il più delle volte la gente viene qui e crede che questo cocktail nasconda il sapore del gin, quando è proprio il contrario, il Negroni è proprio un modo per esaltarlo”.

Gaetano Massimo Macrì

Martiniano. Bartender/giornalista. Insegnante di quello che – seppur in molti sembrano esserselo dimenticato – va sotto la voce di “American Bar”. Tradotto significa: esigente bevitore al bancone e miscelatore ignorante, perché, come scriveva un ‘collega’ degli anni ’30 del secolo scorso (Elvezio Grassi in “1000 misture”) l’essere un buon barman è “sapere quanto poco noi sappiamo”. Mi sembra un ottimo punto di partenza. Per questo motivo vado in giro per locali, alla ricerca del mio perfetto martini cocktail, nonché del mio bartender di fiducia. Un po’ Ernest Hemingway, un po’ David Embury, un giorno scriverò anche io una ‘bartender’s guide’ o qualcosa del genere. Infine, ma assolutamente non da ultimo per importanza, ecco alcune disposizioni per chi fosse interessato a farmi da bere. Colui che mi preparerà un buon Americano, avrà la mia simpatia. Colui che saprà costruirmi un Boulevardier degno di nota, otterrà la mia riconoscenza. Se, poi, non solo non disdegnerà un Old Pal, ma sarà in grado di equilibrarmelo nella coppetta, godrà di tutta la mia più profonda stima. Il martini, tuttavia, è un’altra faccenda.

Be first to comment