Massimo Riccioli, la forza delle tradizioni

Abbiamo incontrato Massimo Riccioli, chef del Majestic e de La Rosetta al Pantheon, nella magnifica sala ristorante dello storico hotel di via Veneto di Roma. La piacevole chiacchierata è stata l’occasione per farsi raccontare la sua filosofia in cucina, i ricordi e le tradizioni natalizie e qualche suggerimento per una perfetta cena delle feste.

Massimo Riccioli, prima di addentrarci nell’argomento di maggiore attualità, le feste di Natale e Capodanno, vorremmo sapere qual è la sua filosofia di cucina…massimo-riccioli

Io cerco sempre di comunicare i miei criteri, che sono dei criteri di costruzione dei sapori, di conservazione di uno stile, di una tradizione, di un prodotto. Il mio pensiero quando faccio una degustazione gastronomica è quella di creare nella persona che la fa, un perché. Il sapore va costruito, perché, se parliamo di cucina possiamo essere tutti d’accordo nel dire che noi trasformiamo una materia prima, possibilmente d’eccellenza, in un piatto in cui tu riconosci la materia che hai messo, ma tutti gli ingredienti messi insieme vanno a fondersi per fare l’altro sapore, quello finale, formato da un sapore principale e tutta una serie di dettagli e tagli. C’è però sempre una parte tecnica che devi rispettare, perché se vuoi friggere e non hai un olio alla giusta temperatura, un olio buono, se non metti la parte da friggere in un certo modo, avrai alla fine qualcosa di fritto male, pieno d’olio, moscio, non croccante. Perché friggere, ad esempio, presume che tu tiri fuori tutta l’umidità dall’ingrediente per cui lui diventa croccante e devi trovare il giusto equilibrio fra umido e secco, per cui, quanto tu mangi, senti quel “cronc” che ci piace tanto. Ecco se tu non segui i giusti passaggi le cose non possono venire bene. A meno che tu non intrugli, aggiungi ingredienti, magari ci metti sopra il tartufo o il fois gras… però poi sai noi troviamo nella cucina italiana il fois gras, che dovrebbe essere francese… non che so, una terrina di qualcosa, magari toscana… non puoi usare il fois gras francese per fare un piatto tipicamente italiano, vale anche per i francesi che non devono usare il tartufo bianco che è italiano. Ci sono delle strade che vanno seguite. Non so come spiegare… per me nel fiore di zucca ci va l’acciuga, la mozzarella e la ricotta, non ci va l’aragosta od il caviale. Magari mi si dice, “ma io metto il caviale ed è buono”, ma il caviale è buono così da solo non deve servire per aiutare una ricetta altrimenti moscia. E’ come il burro, il burro a me piace solo sul pane con un acciuga sopra.

Il suo menù di Natale, così come quello di Capodanno, rispecchiano le tradizioni culinarie italiane. Come ha costruito questa proposta?

Natale per me è tradizione, quindi sulla tavola della domenica io voglio vedere i piatti della tradizione. Per me tradizione significa famiglia, calore, anche cose che magari non ci piacciono ma quando non le abbiamo ci mancano. Ricordiamoci sempre che il nostro subconscio, che è formato dalla nostra eredità, dai nostri genitori, è dominante, non lo puoi gestire, per questo abbiamo fatto un piccolo menù che prevede tutta una serie di circostanze dagli antipasti al frittino, alla pasta preparata con elementi natalizi al buffet dei dolci. Io il Natale l’ho sempre immaginato con i dolci. A casa nostra, una famiglia piccolo-borghese, dove si mangiava bene, con una tradizione importante, quella di mio padre siciliano, la domenica si mangiavano i dolci e a Natale si mangiavano i dolci. Per questo prevedo un grande buffet dei dolci in cui si sarà un po’ di tutto, dolci al cucchiaio, creme, croccanti. Io il 24 dicembre ho sempre lavorato ed è come un piccolo bucherello nella mia vita, mentre il 25 lo passo con i parenti e, come diceva Oscar Wilde, “se si mangia bene  sopporti anche i parenti”. Il dolce è una specie di droga in cui smussi tutti gli angoli, come nel “Pranzo di Babette”, in cui proprio il dessert mette d’accordo tutti. Quello per me è lo spirito vero, l’essenza del Natale, trovare quella pace con le persone vicino magari allargando anche agli altri questo momento. Per Capodanno è lo stesso, chiudi un anno, quindi per me sarà una specie di sagra di cibo, di vini per chiudere un anno ed iniziarne un altro con propositi migliori.

Qual’è la pietanza irrinunciabile per la tavola di Natale?Crudi di pesce

Per prima cosa direi il capitone, mi piace tanto, poi i tortellini in brodo. A casa mia per Natale si faceva questo brodo, con carne di vario stile, gallina, lingua. E poi ovviamente i dolci, panettoni, pangialli, torroni. In generale il pesce, quello crudo e le ostriche sono cose nuove, ma a casa mia si è sempre mangiato il pesce. Magari un semplice burro e alici, con le alici del cantabrico e il burro bretone, lo chiamerei quasi il dessert degli antipasti. Natale, mangiando molto, è anche un’opportunità per bere bene, diversi vini, che magari metto da parte durante l’anno per assaggiarli in queste occasioni.

A proposito di vini, quali sono le bottiglie che metteresti in un ideale carta delle feste?

Io bevo molto champagne. Mi piacciono gli champagne di pinot nero, perché sono abbastanza aspri, e poi il vino rosso, barolo o borgogna. Mi piacciono meno i vini toscani, anche se ci sono ottimi vini, perché per il mio tipo di cucina sono molto grassi. I bianchi ultimamente li bevo meno, anche con il pesce metterei un rosso. Sono arrivato ad un momento della mia vita, a sessant’anni, in cui il bianco è come se mi avesse lasciato. E’ entrato lo champagne ed è uscito il bianco dal mio palato. Anche quando mi capita di bere dei grandi vini bianchi è come se fossero scontati: non trovo la complessità, il gusto, le emozioni che può darmi un rosso. Quando trovi il vino giusto, che ti completa, ti esalta è un momento divino. Io suggerisco sempre di bere un bel bicchiere di vino rosso, perché è emozione, è condivisione. Però va bevuto bene. Non puoi bere un vino importante a tavola e poi te ne vai a lavorare. Bere è un momento spirituale, dopo al massimo si può andare a letto. Questa è la mia sola regola di assunzione del vino, io non bevo se non c’è la tavola. Le degustazioni le faccio per lavoro, ma se devo parlare di vino come piacere ci sediamo a tavola, mangiamo qualcosa, beviamo e siamo felici. E’ una regola che ti aiuta anche a non esagerare. Anche perché se bevi tre, quattro, cinque vini… al quinto non senti più niente, è come sprecarlo. Per questo non mi piacciono i vini che spingono molto, di quelli che il giorno dopo ti svegli con il mal di testa. I solfiti devono essere controllati, perché se tu bevi un vino e poi non ti senti bene… così come non bevo se non c’è un vino buono. Il consiglio più grande è abbinare il bere alla qualità, non si beve tanto per bere.

tavoli

Dovendo dare dei consigli che piatti suggerirebbe per il menù di Natale o Capodanno?

Nella tradizione popolare siciliana è nata una pasta, gli spaghetti allo scoglio. Si chiama così perché si faceva proprio con lo scoglio, un pezzo di pietra con i piccoli animaletti attaccati sopra, quelle protuberanze che si vedono. Questi sassi si facevano saltare in padella, poi si levavano e ci si condiva la pasta che prendeva il sapore di mare. Spendendo così solo il costo degli spaghetti e dell’olio si faceva una pasta al sapore di pesce. Senza arrivare a questi estremi si può fare una pasta classica con il tonno, magari con un tonno decente, che non sia pescecane travestito. Si fa una semplice base di pomodoro ci si mette il tonno dentro, quello in scatola tanto è già bollito, e viene un primo piatto eccezionale. Per quanto riguarda la parte della sostanza io sceglierei il pesce azzurro. C’è un pesce che si chiama Sughero che, se sfilettato e spellato, perché le spine le ha sulla pelle, bagnato con un po’ di aceto per eliminare quel sapore di selvaggio, e scottato sulla padella di ferro è straordinario. Magari servito su un letto di insalata, puntarelle ad esempio, con la loro salsa di alici ed un po’ di mosto. Questo è un pesce che le persone non conoscono. Magari vanno a comprare delle spigole ignobili di allevamento e le pagano 20 euro, mentre il sughero ne costa 6. Fatti il conto, se ne vuoi mangiare due etti, 400 grammi sporchi, hai speso 2 euro e 40. E’ un piatto che in tutto costa tre euro a persona. Tu così però fai un pranzo di gusto, di cultura. La spigola di allevamento è un assurdo culturale, tu vai solo a scimmiottare i ricchi. Pasolini diceva quando il povero imiterà i ricchi sarà finita la società, perché non ci sarà più differenza. Ma è nel confronto che vai verso dio, non ci vai con l’uniformità di pensiero. Al posto del sughero si potrebbero prendere anche delle alici, anche se è un pesce già imborghesito. A Natale le trovi a 20 euro, perché subito parte l’avidità umana. Però sono buonissime, magari fritte. Le bagni sempre con l’aceto e le friggi con un po’ di farina. Come primo in alternativa anche un classico spaghetto con le vongole, anche se sconsiglio le vongole veraci che son fasulle, meglio i lupini. Li fai aprire con un po’ di acqua e ci fai uno spaghetto in bianco fantastico. Si può fare anche un piccolo crudo di pesce, l’importante in quel caso è abbatterlo, perché il pericolo esiste. Quindi congelatore a -20° poi lo lasci scongelare da solo e anche se perde un po’ sei sicuro di quello che mangi. Oppure puoi mangiare delle cozze, se trovi quelle buone, non quelle grandi spagnole che non sono buone. Anche quella delle cozze è una strana storia di quelle che succedono in Italia, le vongole veraci grandi filippine che non sanno di niente, le cozze spagnole perché sono grosse e pesano di più, e tutta la qualità viene smontata e vilipesa, magari anche per colpa di qualche giornalista che dice che è buona. Per me sugli ingredienti deve esserci una sorta di integralismo. L’ingrediente deve essere giusto, senza veleni. Certe informazioni, uno che mangia, deve averle. Non si può non sapere niente e prendere quello che costa meno che poi ti ammazza. Bisognerebbe proteggere il nostro vero made in Italy. La Germania esporta il doppio dell’Italia sull’agroalimentare e ti chiedi com’è possibile. Se parliamo invece di carne ci sono quei tagli meno pregiati, magari uno spezzatino ben fatto, la trippa. Anche per quanto riguarda la carne però bisognerebbe mangiare meglio.

Giampiero

Dal cinema al whisky il passo può esser breve. Basta fare un viaggio in Scozia, perdersi magari nel cuore delle Highlands, e ritrovarsi a chiacchierare in un piccolo pub di Ullapool parlando di torbatura e imbottigliamenti. Nasce così una passione travolgente, girando l’Italia, l’Europa (e non solo) di degustazione in degustazione, di locale in locale... alla scoperta del meglio che questo universo può offrire. Cocktail preferito: Rob Roy Distillato preferito: Caol Ila 25 yo

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