Head to Head Competition Seconda edizione: 5° tappa Morrison’s

Un Head2Head bar competition diversa dal solito quella che si è svolta al Morrison’s di Roma, tanto per l’orario pomeridiano (prima volta per questa seconda edizione dalla manifestazione), quanto per numero di concorrenti, salito eccezionalmente a sette. Lo storico pub della Capitale, la cui atmosfera ricorda i migliori locali anglosassoni, ha dunque ospitato una gara quantomai originale che ha visto anche, ultima

Il pubblico della gara

Il pubblico della gara

fra le differenze delle giornata, la staffetta di uno dei tre membri della giuria. Accanto a Francesco Spenuso, della scuola Flair’s Project, e Kris Rag, bartender dello stesso Morrison’s, si sono alternati Raffaele Rendina, enologo di Rosso Peynaud (impegnato in serata nella tappa del suo tour di degustazioni dedicata, in questo caso, al connubio fra burro, alici e vino rosato), e Patrick Pistolesi, bartender del Caffè Propaganda. Prima di dare fuoco alle polveri è toccato a Euklid Lira, sempre del Morrison’s, presentare ai barman in gara il loro banco di prova. Una bottigliera piuttosto fornita attendava infatti i sette sfidanti, insieme a molta frutta fresca, puree home-made di mango e frutti rossi, olive sotto Martini Bianco, pesche sotto Bourbon, ciliegie sotto “Manhattan” e una nutrita selezione di sciroppi Monin.

La fase a gruppi

Diversamente dalle altre tappe, con sette concorrenti in gara, le due batterie di eliminazione contavano di tre barman la prima e di quattro la seconda. Primo a gareggiare, con la grande eloquenza che lo contraddistingue, Gianluca Melfa che, avendo come ingrediente prescelto il Maker’s Mark ha realizzato il suo “MorriSmash”, uno Smash dal tono leggermente acido preparato con Maker’s Mark, Vermouth Cocchi, purea di frutti di bosco, succo di limone, sciroppo alla cannella e menta fresca. Molto diversa la scelta di

Veronica Fanti

Veronica Fanti

Veronica Fanti, prima barlady in gara, che ha scelto di declinare il bourbon in un cocktail il suor; il “Blowing Bubble”, con Maker’s Mark, Assenzio La Fée, succo di limone, bianco d’uovo, liquore al cacao e sciroppo di zucchero, ha fatto discutere più per la tecnica di preparazione (il drink è stato lavorato nel blender) che per la riuscita finale. Ultimo della prima batteria, Antonio De Meo, ha risposto con un twist sul “Manhattan”, il suo “Winter Manhattan”, che, accanto al bourbon e al Carpano Classico, vedeva la presenza di un abbondante quantità di Chambord, il cui gusto appariva nel complesso predominante. Dei quattro concorrenti del secondo gruppo il primo a calcare la pedana del Morrison’s è stato Manuel Cordisco che ha dovuto improvvisare un drink con la tequila Don Julio. Dopo la precisazione di Raffaele Rendina che ha voluto sottolineare il genere femminile del termine Tequila nel vocabolario italiano, il barman in gara ha proposto una personale versione del “Margarita” con Don Julio, sciroppo d’agave, succo di lime, Cointreau e top di birra lager; il “Largarita”. Ancora “Margarita” anche nel secondo drink preparato, quello di Giovanni Onori, che, accanto al distillato di agave, ha miscelato Campari, succo di lime, succo di limone e Cointreau chiamandolo, con riferimento

Kris Rag

Kris Rag

all’uso del celeberrimo bitter, “Italian Margarita”. Lorenzo Volpi, terzo a gareggiare nella seconda batteria, ha invece creato una personale visione di “Perfect Martini”, unendo alla tequila Don Julio, Martini Extra-dry, Carpano Antica Formula, Punt e Mes, bitter al pompelmo e Angostura Bitters, da lui denominato “Martina” in onore del drink originale. E’ infine, giunta da L’Aquila, l’ultima barlady del gruppo, Martina Cappetti, ambientatasi immediatamente tanto nella competizione quanto nel banco del Morrison’s, ha creato un drink con Don Julio, St.Germain, succo di lime, sciroppo di vaniglia e spumante (in sostituzione dello Champagne). Il suo “Legalizar la liberatad” è stato accompagnato, durante la preparazione, da un breve excursus storico che ha spiegato il legame fra la Francia e il Messico, le due fonti di ispirazione del drink. Poche parole dei giudici hanno poi accompagnato il verdetto che ha visto passare alle semifinali Gianluca Melfa, Veronica Fanti, Manuel Cordisco e Martina Cappetti.

Le semifinali

Ristabilito il numero consueto di sfidanti, e sostituito il giudice uscente Raffaele Rendina con Patrick Pistolesi, ecco entrare in gioco le difficoltà. Così, oltre a dover utilizzare almeno 30 ml di Frangelico Gianluca Melfa è stato costretto a pensare un drink che non prevedesse la tecnica dello stir and strain. La soluzione proposta dal bartender è stata un “Americano” preparato con la tecnica del throwing con

Martina Cappetti

Martina Cappetti

Frangelico, Rabarbaro Zucca, Camapri, Carpano Classico, Guinness, Angostura bitter e Abbott’s Bitter; l’“Americano in Irlanda”. L’uso di soli 25 ml di Frangelico (anziché gli obbligatori 30 ml) ha fatto però incappare Gianluca Melfa in una penalità. Con gli stessi paletti Martina Cappetti ha invece preprato un twist sull’ “Hanky-Panky” con Frangelico, Carpano Antica Formula e Beefeater gin dal nome “Sesso, droga e hanky-panky”; un versione che, rispetto all’originale, è apparsa certamente più zuccherina, come un dolcetto alla nocciola. Se alla prima coppia di semifinalisti era precluso l’uso della tecnica dello stir and strain ai secondi è stato invece vietato quella dello shaken. Dovendo così realizzare un drink con minimo 30 ml di Bulldog Gin Manuel Cordisco sceglie un cocktail con gin, brandy, succo di lime e sciroppo di zucchero; l’“Oh my god!” da lui (erroneamente) definito un twist sul “Paradise”. Molto più confusa la prova di Veronica Fanti che, dopo aver selezionati e posto sul bancone una lunga serie di ingredienti, propende per un miscelato quasi indecifrabile con Bulldog Gin, Vino rosso Montepulciano, cannella, succhi di arancia e lime lavorati con pepe rosa e zucchero liquido. Un’improvvisazione che, come sottolineato dalla giuria, ha pesato molto sul verdetto finale. Dopo aver chiarito, punto e punto, concorrente per concorrente, pregi e difetti dei drink proposti per le semifinali i tre giurati hanno infatti decretato il passaggio del turno per Gianluca Melfa e Manuel Cordisco.

La finale

Una gara tanto particolare e accesa non poteva che avere un finale altrettanto elettrizzante. Con 30” in meno, l’obbligo di realizzare un drink frizzate e il vincolo di minimo 30 ml di Talisker 10, Gianluca Melfa decide di provare a reinventare un “Whisky & soda”. Sempre istrionico e divertente, padrone assoluto del banco, il barman realizza un drink con lo scotch prescelto, liquore Strega, orange bitter e ginger beer; “Lo

La giuria si consulta

La giuria si consulta

scotch dei miracoli”.  Manuel Cordisco sceglie invece la via di un “Fizz”, preparato con Talisker 10, sciroppo alla cannella, succo di lime, albume d’uovo e ginger beer, il suo “Che dio me la mandi buona”, nome non proprio adatto ad un cocktail. Due drink e due bartender molto diversi, per carattere e gusto, che, proprio per queste ragioni costringono la giuria a ragionare attentamente sull’esito della gara. Mentre Gianluca Melfa dimostra infatti una padronanza unica e una teatralità ammaliante, Manuel Cordisco brilla per il risultato nel bicchiere, superiore, almeno nella finale, a quello del suo avversario. Una situazione di stallo che la giuria decide di risolvere con uno spareggio. Per la seconda volta in questa edizione dell’Head2Head due barman si affrontano così mettendo in campo il loro cavallo di battaglia. Ad esordire questa volta è Manuel Cordisco che prepara un “Boulevardier” con Carpano Antica Formula, Campari, Ardbeg Uigeadail e Angostura Bitters, drink che, per la presenza dello whisky di Islay (per altro in un imbottigliamento molto intenso), non centra del tutto il bersaglio. Gianluca Melfa sceglie invece un “Bobby Burns”, cocktail dedicato al Bardo di Scozia, con Talisker 10, China Clementi, Vermouth Martelletti e Angostura Bitters, dal nome roboante “The Final Countdown”. Un conto alla rovescia che premia, visto che, dopo una breve riunione, la giuria assegna la palma del vincitore proprio a Gianluca Melfa.

L’intervista al vincitore

Parlaci un po’ di te Gianluca…

Gianluca Melfa

Gianluca Melfa

Sono Gianluca Melfa, ho 26 anni e faccio il bartender, per scelta, da orami sette anni. Mio padre è avvocato, mia sorella medico, mia madre al Ministero degli Interni, quindi è stato un po’ una scelta difficile all’inizio. Poi, pian piano, mi sono accorto che era la strada giusta e ad oggi sono fiero di quello che ho fatto. Ho aperto un locale con Gabriele Simonacci e Francesco Bolla, i miei due soci, che è l’Argot che mi sta facendo sognare ad occhi aperti. Era il mio sogno e sono riuscito a coronarlo a soli 26 anni e per questo sono molto contento… anzi, contento è dire poco.  Dall’anno scorso ho iniziato ad avere la voglia di misurarmi nelle competizioni, perché mi sembrano esperienze che arricchiscono il bagaglio di conoscenze, e più in generale  la persona. In particolar modo questa  competition mi è piaciuta molto sin dall’inizio per il concetto del “friendly”, ma anche perché il livello era molto alto ed era una competizione molto innovativa. E’ molto bella anche perché emula quello che si fa ogni giorno dietro al banco, solo che farlo dietro al bancone è un conto, farlo dietro ad un banco in cui sei ospite con tutti i giudici davanti è un’altra cosa.

Decidere di mettersi in proprio non è una scelta facile. Imprenditore, bar manager, bartender…

Ci vuole coraggio perché aprire un locale come Argot, fatto completamente da  zero, creando un’identità

Gianluca Melfa sorridente dopo la vittoria

Gianluca Melfa sorridente dopo la vittoria

propria, è una cosa difficilissima, soprattutto in questo paese. E’ stato lunghissimo l’iter burocratico ma mi ha fatto crescere molto, perché è un’esperienza che ti fa capire che sono finiti i giochi, come si dice. L’aspetto del bar è sicuramente il mezzo con cui ci sono arrivato, ed è quello che ci terrà lì dentro forse tutta la vita. Ma essere proprietario, imprenditore, non è la stessa cosa. Ti crea un sacco di problemi, devi stare con la testa sempre sulla burocrazia, sulla gestione, ma siamo stati bravi anche a mantenere la giusta attenzione al bar. Quando devi fare tutte e due le cose insieme diventa difficile. Sicuramente quando ero dipendente davo anima e corpo solo sul bar. Facevo anche il bar manager, ordini, scarichi, ma quando devi gestire a trecentosessanta gradi diventa tutto molto diverso. Tutto questo è nato grazie alla voglia di mettersi in proprio con Gabriele Simonacci e Francesco Bolla, due ragazzi con cui avevo lavorato un anno diventando subito amico. Abbiamo capito subito che avremmo avuto la giusta sinergia per fare una cosa insieme. Sicuramente molto di quello che è oggi Argot lo devo a loro, perché senza di loro non sarei stato in grado di fare nulla. Anche da un punto di vista pratico ci dividiamo i compiti della gestione del locale, perché da solo diventerei pazzo. La nostra più grande forza è stata quella di rischiare. Perché in Italia se vuoi aprire qualcosa devi rischiare, noi siamo andati all-in senza vedere le carte. Ci abbiamo creduto fino in fondo e, ad oggi, a meno di un anno di vita, siamo molto gratificati.

Anche oggi, durante la gara, hai dimostrato quanto sia imporatante saper intrattenere e gestire i clienti. Quanto conta, secondo te, l’ospitalità?

L’avevo già capito prima lavorando per altri, ma da quando abbiamo aperto Argot mi sono reso conto che è fondamentale. Senza esagerare posso dirti che può essere un 75-80% della tua attività, perché i tuoi ospiti così sono contenti e soddisfatti, al di là del drink buono. La qualità del drink in Italia si è alzata ma l’ospitalità deve essere ancora valorizzata. Qui c’è un po’ la tendenza per cui il protagonista deve essere il barman. Io però, anche se sono teatrale, e lo sono perché sono così nella vita, capisco che il nostro è un lavoro di contatto, di contatto con la gente, e si deve regalare qualcosa alla gente. Quello che facciamo noi tre, quando un ospite viene all’Argot noi cerchiamo di regalare un’esperienza, oltre al bicchiere. In Italia in barman è una figura molto sulle sue, a volte pieno di sé, non dà attenzione al cliente, se non per chiedere informazioni inerenti al drink. Io mi aiuto molto pensando una cosa, immagino chi mi viene a trovare al locale abbia avuto una pessima giornata ed il mio ruolo sia quello di mandarlo a casa con il sorriso, cambiando la sua giornata.

Giampiero

Dal cinema al whisky il passo può esser breve. Basta fare un viaggio in Scozia, perdersi magari nel cuore delle Highlands, e ritrovarsi a chiacchierare in un piccolo pub di Ullapool parlando di torbatura e imbottigliamenti. Nasce così una passione travolgente, girando l’Italia, l’Europa (e non solo) di degustazione in degustazione, di locale in locale... alla scoperta del meglio che questo universo può offrire. Cocktail preferito: Rob Roy Distillato preferito: Caol Ila 25 yo

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