I diari di viaggio di BlueBlazeR – Drinkin’ Downunder: Guida pratica – Prima tappa: Melbourne

Prima tappa: Melbourne

Il primo impatto con l’Australia è abbastanza straniante. Nulla di imprevedibile, ma sicuramente la prospettiva di ritrovarsi “sotto sopra”, in un mondo lontano da quello che gli europei considerano il loro “centro di gravità permanente”, cinque secondi di adattamento mentale lo richiedono. Un nuovissimo mondo, lontano da tutto e da tutti, e allo stesso tempo spugna mai sazia in cerca di tutte le tendenze e le novità che il resto della civilizzazione ha da offrire.

Vista panoramica della cittàdi Melbourne

Vista panoramica della cittàdi Melbourne

Siamo a Melbourne, seconda città tra le più vivibili al mondo stando all’annuale classifica dell’Economist. Tra tutte le città australiane forse quella che colpisce meno a prima vista: pochi monumenti storici, grattacieli che spuntano come funghi uno di seguito all’altro, cantieri infiniti a qualsiasi ora del giorno e della notte, qualche museo in bella vista, un lungo fiume (Yarra River) che effettivamente scalda il cuore e un vento ghiacciato semi-costante proveniente da Polo Sud che quel cuore provvede a raffreddarlo.
Insomma Melbourne non ha quasi nulla che possa catturare un turista svagato in cerca di qualcosa di immediatamente riconoscibile; ed è proprio qui che risiede il vero fascino della città: nonostante sia stata disegnata con riga e squadra, Melbourne è ricca di vicoli, stradine semi-nascoste e ricche di graffiti che cambiano giorno per giorno, di locali nascosti alla vista che si aprono solo per l’avventore più accorto, attrattive che solo chi ha voglia di perdersi riesce a vivere davvero.
Proprio con questo spirito inizia quindi la caccia ai migliori cocktail bar che questa strana città ha da offrire, tra scoperte conferme e bocciature eccellenti.

Cosa bevono gli australiani?

Melbourne è una città ricca, viva e frenetica, i cui abitanti alle 18.00 si trasformano da fieri e operosi servitori degli interessi del Commonwealth ad allegri viveur dediti ai bar tour più estenuanti, passando senza senso di continuità da pinte di birra (qui chiamate scooner) ai cocktail più fantasiosi e stravaganti. Ma quali sono i cocktail più venduti?

L'espresso Martini

L’espresso Martini

Se Dick Bradsell fosse ancora tra noi, sarebbe estremamente fiero di melbournians del loro apprezzamento per una delle sue più famose creazioni: l’”Espresso Martini” (detto rigorosamente con quella terribile pronuncia inglese su “espresso” che è l’equivalente di una grattata di unghie su una lavagna). Il motivo, parlando con alcuni barman, è da ricercarsi nella passione australiana per il caffè e le cose dolci e “fluffy”,  in altri termini amano i dessert cocktail, con abbinamenti a volte molto discutibili. Tutto qui è incredibilmente dolce.
Passiamo invece al “Martini”, o per meglio dire il “Dirty Martini”, altra grande passione degli “american wannabe”, venduto alla stessa stregua di una birra o di un sidro (altra grande passione nel downunder). Visto il clima tendenzialmente freddo anche i flip ricoprono un ruolo importante nei menu di Melbourne. Nei sabati sera frenetici il gin tonic viene sostituito da vodka lime soda e Lemon Lime Bitters (lemonade con uno squeeze di lime e abbondanti dashes di Angostura), whisky e bourbon con dry (che starebbe per dry ginger beer).

Una Perla che non brilla

Cominciamo con il nostro tour e la prima tappa, e non avrebbe potuto essere diversamente, è al Black Pearl. Dall’alto del suo appena confermato 30esimo posto nella classifica dei Best 50 Bars 2018, è indubbio che molte aspettative accompagnano l’aprire la porta del 304 di Brunswick Street. Situato nel meraviglioso quartiere di Fitzroy, ad un quarto d’ora di camminata dal CBD (centro città), il Black Pearl accoglie i suoi

Il Black Pearl

Il Black Pearl

visitatori in un’atmosfera estremamente rilassante e soffusa, quasi ci si trovasse in una cantina piratesca di fine ‘700. Niente reti da pescatore o canzoni alla “yo-oh beviamoci su”, ma un sobria e rilassante atmosfera dove concludere una stressante giornata di lavoro.
Ma stiamo davvero parlando di uno dei migliori 50 bar al mondo?
Il menu, che si propone di creare una sorta di passeggiata turistica attraverso la città, richiamando sia le forti influenze asiatiche presenti in città che le indiscutibile discendenze anglofone, offre delle scelte interessanti e anche molto ricercate, con varianti curiose sui classici highball e i daisy, dimostrando sicuramente un’attenta ricerca nella selezione dei prodotti e negli accostamenti. Eppure questo è il “minimo sindacale” che ci si potrebbe aspettare da un bar. Per un Best 50 si deve pretendere qualcosina di più, che va indubbiamente a ricercarsi nella categoria dell’ospitalità. Buona regola di ogni buon barman riguardo all’interazione con il cliente è quella di soppesare l’atteggiamento del cliente stesso: se vuole parlare e desidera essere intrattenuto va accontentato, se desidera maggiore riservatezza non va assolutamente infastidito. Al Black Pearl non vi

Il Menu del Black Pearl

Il Menu del Black Pearl

sentirete mai degli “ospiti” quanto semmai dei “passanti”, perché dal vostro ingresso alla vostra uscita nessuno andrà mai oltre il chiedervi quale drink vogliate bere e farvi pagare il conto. Anche i più palesi tentativi di interazione, come il raccontare la storia del locale e spiegare le ricette in menu,  si sono risolti in una rapida risposta e poi il disinteresse.
A questo punto però è d’obbligo fare un piccolo chiarimento: il Black Pearl non è un brutto locale dove andare a bere o dove passare una bella serata, semmai delude le aspettative che il blasone del locale si porta dietro: non un brutto bar, non un Best 50, ma un locale come tanti altri.

La casa del Barfly

Passeggiando per il meraviglioso quartiere di Fitzroy, ricco di case in stile coloniale lontano dai freddi grattacieli del CBD, a 15 minuti a piedi dal Black Pearl si trova il locale dove in questo momento mi trovo a scrivere queste righe: The Everleigh.
Si possono usare molte parole per descrivere questo posto, ma forse quella più adatta è sicuramente “casa”. In bilico tra uno stile retrò e una straordinaria modernità, l’Everleigh rappresenta tutto quello che uno sporting gentleman potrebbe mai cercare in un bar: ottima accoglienza, personale molto più che compente e disponibile nei confronti del cliente, drink perfettamente eseguiti e ottimo cibo; un posto dove chiunque, dal barfly più smaliziato al semplice avventore occasionale, sarà in grado di trovare quello di cui ha

Il Bancone dell'Everleigh

Il Bancone dell’Everleigh

bisogno.
Nato dal sogno di Michael Madrusan, storico collaboratore del compianto Sasha Petraske al Milk & Honey (la cui foto accoglie i visitatori all’ingresso del locale), l’Everleigh incarna gli insegnamenti di Sasha e dello storico locale newyorkese traslandoli nel nuovissimo mondo. La Bar Bible, il “libro mastro” contente tutte le ricette che si possono richiedere al bancone (più di 3000), è solo la punta dell’iceberg per un locale che che fa della perfezione nel servizio il suo punto di forza.
“Tutto qui si basa solo sull’ospitalità” ci racconta il bar manager Dave Molyneux “accogliere il cliente con un forte ‘hello’ e farlo sentire sempre a proprio agio fino alla sua uscita. Il drink è importante certo, ma se guardi al nostro menu non ci sono molti segnature, perché preferiamo l’interazione, capire cosa effettivamente quella particolare persona vuole in quel momento, e fare di tutto per fargli passare la miglior serata della sua vita”.

Togliere il superfluo

Procedendo dall’Everleigh verso il limitrofo quartiere di Collingwood c’è un bar che merita sicuramente tutta l’attenzione possibile: l’Above Board. Il personalissimo regno Hayden Scott Lambert , ex bar manager del Bar Americano (un piccolo gioiello di cui riparleremo), che ha creato con il suo locale “un posto senza nulla da nascondere” come racconta lo stesso Hayden: “il nome è un gioco di parole basato sul

Lo Spettacolo dell'Above Board

Lo Spettacolo dell’Above Board

fatto che paghiamo l’affitto al locale sopra cui ci troviamo, ma significa anche nel gioco d’azzardo mostrare quello che hai in mano, senza nascondere nulla, giocando a viso aperto e facendo vedere la genuinità di quello che hai”.
Immaginate quindi di entrare in un bar, un qualunque bar, e sicuramente la prima cosa a colpire la vostra attenzione, o quantomeno la prima cosa che guardereste, sarebbe la bottigliera. Ecco, dimenticatevi della bottigliera: l’Above Board vi accoglierà in un’atmosfera soft dove, una volta seduti al bancone, a guardarvi sarà uno specchio; ogni bottiglia si trova all’interno di appositi cassetti dietro al bancone, pronte ad essere tirate fuori al momento opportuno. “Tutto nell’arredamento del locale” prosegue Hayden “è realizzato a mano e su misura. Quello specchio riflette solo la tua immagine ma non i lineamenti. Volevamo creare un posto funzionale e pratico, togliendo tutti gli orpelli e la ‘fuffa’ (fluff in inglese ndr). Una “filosofia” che viene applicata anche al menù, diviso in classici e twist on classics estremamente interessante: “abbiamo cercato di creare a rotazione drink che fossero deliziosi e complessi ma allo stesso tempo di facile realizzazione, togliendo gran parte degli orpelli che oggi vanno di moda. Easy and simple”.

Giorgio Morino

"L'incapacità di stare fermo e il desiderio di scoprire sempre cose nuove mi ha portato a scrivere. Il cinema è stata la mia prima casa, il mondo era la luce del proiettore in una sala buia e affollata. Fuori dal cinema c'era Springsteen e il rock 'n' roll, immagini di un'America che forse non esiste più a bordo di una Chevelle decappottabile. Un giorno ho scoperto il whisky, e da quel momento la mia vita non è stata più la stessa. Perché non scrivere anche di questo in fondo? Cocktail preferito: whisky sour Distillato preferito: Talisker 10 anni"

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