Jack Daniel’s lancia la bottled in bond series al Roma Bar Show 2022

Al RBS,che ritorna con numerosi eventi, c’è Jack Daniel’s che riesuma la storica bottiglia ‘Replica’ e immette nel mercato una nuova serie: i “Bottled in Bond”

La storia di Bottled in Bonded

50 gradi. Tanti come i nuovi prodotti in casa Jack. Come la temperatura alta che a Roma già fa effetto estate. Come la febbre che sale per l’’eventone’ della capitale. La prima fu un buon successo. Questa seconda edizione è la sua versione improved, pare anche con migliaia di ingressi in più. E più di qualcuno sostiene che ormai sia una certezza, che il bar show romano possa attestarsi tra i migliori in Europa.

Jack Daniel’s bottled-in-bond

l battage pubblicitario era cominciato da tempo, con un tour per l’Italia. Il clima di attesa che nella prima edizione celava tanta curiosità, lasciava invece maggiori certezze nei giorni a ridosso del 30 e 31 maggio e che a posteriori possiamo confermare. Gli eventi, tra quelli interni alla fiera e quelli esterni nei bar della città, sono stati trascinati da un moltiplicatore al quadrato, probabilmente impossibile seguirli tutti. Tra tutti, sicuramente ha spiccato il lancio di due nuovi prodotti di Jack Daniel’s: Bonded e Triple Mash. Sono le etichette della nuova serie a 100 proof. Entrambe fanno bella mostra, contenute nella famosa ‘Replica bottled’ del 1895 quando l’etichetta non si attaccava, tutto era scritto su vetro. Due novità figlie di quattro capisaldi che statuiscono il significato di Bottled in Bond: singola distilleria, distillato in un’unica stagione di distillazione, imbottigliato a 50 gradi, maturato in magazzini federali, legalmente riconosciuti. In sostanza, l’unica materia che si può aggiungere, per la legge americana che risale alla seconda metà dell’800, è l’acqua necessaria per ottenere la gradazione stabilita. Un tempo queste regole erano un sinonimo di garanzia assoluta di avere tra le mani un whiskey in  bottiglia di un solo distillatore, prodotto dallo stesso con una sola distillazione presso una sola distilleria. Il whiskey sosta(va) 4 anni almeno sotto la supervisione del governo US nei cosiddetti Bonded warehouse.

Jack Daniels Bonded

Detto questo, scendiamo nei dettagli. il primo prodotto, il Jack Daniel’s Bottled in Bond Tennessee Sour Mash Whiskey è la base dell’Old N°7 che va in botti selezionate, presentandosi con un colore un po’ più scuro, un carattere più duro, un finale più caramellato. Cosa si sente?  Wood, la ricchezza del rovere, le note di mandorla e noce pecan, compartecipano gli aromi dolci: miele, cioccolato, vaniglia, zucchero di canna. In suono minore si sentono le spezie. In pratica un Seven all’ennesima potenza.

Jack Daniel’s Triple Mash

Il Jack Daniel’s Triple Mash Blended Straight Whiskey è un mix di Jack Daniel’s Tennessee Rye (quello con etichetta color crema, per intenderci) Jack Daniel’s Tennessee Whiskey (il classico numero 7) e un American Malt Whiskey (in proporzione si calcoli nell’ordine detto: 60%-20%-20%). Tutti e tre gli elementi in questione maturano in solitaria, senza essere disturbati per almeno 4 anni, quindi arriva il momento del blending, chiudendo sempre con 50 gradi in bottiglia. Per i più smemorati il mix (60-20-20) è composto: nella sua parte di rye (quella del 60%) con 70% segale, 12% orzo, 18% mais; mentre nel numero 7 c’è 80% mais, 12% orzo, 8% segale; quindi un malto americano al 100% per chiudere l’ultimo 20%. In sostanza, la segale spadroneggia, con le sue spezie, le note mentolate. Immancabile il dolce di vaniglia, il legno tostato e la parte fruttata derivante dal lavoro di fermentazione.

La chiave per il White Rabbit Saloon

Le nuove serie di prodotti hanno recitato in anteprima sul palcoscenico del Drink Kong, una sorta di serata pre-barshow, domenica 29. Ospite d’onore o come si scrive sui manifesti “guest” il Tres Monos di Buenos Aires. Un cumulo di ‘Best’: 19esimo, il Kong romano, 33esimo, l’argentino. 4 i signature dei ragazzi della ‘Parigi del Sudamerica’, oltre a quelli ufficialmente scelti dalla casa madre – i drink hero – per testare i nuovi whiskey in miscelazione, un Boulevardier, ormai un caposaldo e un Old Pal, ideato dal ‘vecchio amico’ William Robertson. 

In fiera, le nuove bottiglie erano esposte in una secret room, cui si accedeva con una chiave. Tra le sorprese per il visitatore dell’area ristretta, il White Rabbit Saloon, fedelmente ricostruito. E’ lì che il buon vecchio Jack andava a dissetarsi e a suonare (e sì, era anche musicista, sapevatelo). Agli strumenti (del bar) direttamente da Londra, i ragazzi dello Swift. Sempre Old Pal (che ormai sarà diventato un vostro amico) Boulevardier e due loro signature. L’ufficialità si è fatta manifesta, con la masterclass di Francesco Spenuso, Advocacy Manager Brown-Forman Italia, Nidal Ramini, Advocacy Director Brown-Forman, mentre a mescolare liquidi era il buon Livio Morena, Bar Manager di Drink Kong. 

Secondo giorno, altro giro, altra corsa. In Secret Room c’era la staffetta delle guest, con il davvero folcloristico Laboratorio Folcloristico. Intanto sulle pareti si può leggere e capire quale vero significato abbia mai avuto il Bottled in Bond. Per ripercorrere qualche altro mood dell’America profonda vissuta dal signor Daniel c’era il lancio dei dadi. Nemmeno a dirlo: con 7 vinci e porti a casa. Ludicamente parlando, fuori si giocava il campionato di Cornhole, lo scopo è imbucare un sacco con un buon lancio. Immaginatevi 16 Team, ognuno legato a un locale. 

Come si è finita ogni serata? In stile Woodford Reserve, con un Take Over insieme a Matteo Di Ienno del Locale di Firenze, tanto per rimanere in area best (posizione numero 51). Le sue guest portavano prima da Oro Whisky Bar, poi da Rem Trastevere. Due piccoli gioielli romani, location sicuramente tipiche, una per le buone pratiche legate al “water of life” e l’altra per i buoni mosconi da bar vogliosi di bere bene anche con le tenebre più profonde. 

Per maggiori info sul Barshow romano: https://romabarshow.com/ 

Gaetano Massimo Macrì

Martiniano. Bartender/giornalista. Insegnante di quello che – seppur in molti sembrano esserselo dimenticato – va sotto la voce di “American Bar”. Tradotto significa: esigente bevitore al bancone e miscelatore ignorante, perché, come scriveva un ‘collega’ degli anni ’30 del secolo scorso (Elvezio Grassi in “1000 misture”) l’essere un buon barman è “sapere quanto poco noi sappiamo”. Mi sembra un ottimo punto di partenza. Per questo motivo vado in giro per locali, alla ricerca del mio perfetto martini cocktail, nonché del mio bartender di fiducia. Un po’ Ernest Hemingway, un po’ David Embury, un giorno scriverò anche io una ‘bartender’s guide’ o qualcosa del genere. Infine, ma assolutamente non da ultimo per importanza, ecco alcune disposizioni per chi fosse interessato a farmi da bere. Colui che mi preparerà un buon Americano, avrà la mia simpatia. Colui che saprà costruirmi un Boulevardier degno di nota, otterrà la mia riconoscenza. Se, poi, non solo non disdegnerà un Old Pal, ma sarà in grado di equilibrarmelo nella coppetta, godrà di tutta la mia più profonda stima. Il martini, tuttavia, è un’altra faccenda.

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