Misuriamo la sostenibilità

La sostenibilità ambientale al bar: stiamo facendo abbastanza?
Mettiamo le pratiche più diffuse e i numeri reali a confronto insieme a Giovanni Ceccarelli, affidandoci al metodo scientifico.

Uno schema per lo zero waste

Zero Waste, Plastic Free, Buy Local. Termini che sono diventati sempre più familiari, al bar, e che hanno (o dovrebbero avere) un denominatore comune: La sostenibilità . Quando un tema diventa attuale, però, è spesso accompagnato da falsi miti e preconcetti che si rivelano poi privi di fondamento.
“Succede quando l’istinto, e la pancia, prevalgono sull’analisi dei numeri nudi e crudi”.
A dirlo è Giovanni Ceccarelli, trainer in Drink Factory di Bologna, fondatore di Cocktail Engineering e del sito www.giovanniceccarelli.com, una vera e propria wiki della miscelazione, forte anche di una community sui social che rappresenta un porto sicuro per qualunque bartender alla ricerca di informazioni, ricette e tecniche. E Giovanni, Ingegnere energetico prima ancora che Barman, è così: quando si trova davanti ad un’affermazione, sente l’urgenza di verificarla, applicando il metodo scientifico. “Analizzo i dati, se possibile faccio esperimenti, osservo i risultati e solo allora traggo le mie conclusioni”.

E le conclusioni, in materia di sostenibilità ambientale, quali sono?
“E’ una questione maledettamente complessa, influenzata da una molteplicità di variabili, ma c’è un problema che è più urgente di tutti gli altri. Sto parlando dei gas serra”. E’ come se la terra fosse un organismo con diverse malattie, che bisogna curare in ordine di gravità. “Se si vuole veramente salvare il pianeta, è necessario azzerare le emissioni di CO2 in atmosfera”. Più facile a dirsi che a farsi, però. “Le attività umane, in generale, contribuiscono all’aumento dell’anidride carbonica. Produzione di energia, produzione industriale, trasporti…ogni cosa incide in maniera differente. Ad esempio la filiera del cibo contribuisce per circa il 25/30 per cento delle emissioni totali, che al momento sono stimate in 51 miliardi di tonnellate l’anno”, un numero che è difficile persino razionalizzare. “Ti aiuto io: è l’equivalente in peso di 102 milioni di treni Freccia Rossa”. Se si parla di cibo, però, la buona notizia è che il bar e la ristorazione possono fare davvero qualcosa, giusto? “Sì, ma ti avverto: preparati ad entrare in una valle di lacrime” (è un’espressione che gli piace molto usare) “Perché nulla di quello che attualmente viene fatto in questo senso, ha un impatto significativo: eliminare le cannucce, riutilizzare gli scarti alimentari, lavorare solo prodotti di stagione…iniziative virtuose, per carità, ma che sono del tutto irrilevanti dal punto di vista dei numeri”. Quando parlate con Giovanni, ricordatevi sempre di essere pronti a veder vacillare le vostre certezze.

La presentazione alla mixology experience

“Torniamo sempre lì, alla Carbon Footprint. Se non riduci quella, è tutto inutile. La plastica ad esempio è un falso problema nel senso che, in fase di produzione, ha un impatto ecologico molto più basso di quello del vetro, e sarebbe anche più facilmente riciclabile. E’ l’atteggiamento dell’uomo (in primis la scarsa efficacia della raccolta differenziata) a renderlo un tema critico, perché il materiale in sé sarebbe anche sostenibile. Se poi ci concentriamo sui trasporti, tieni presente che una nave immette 20g di CO2 al km per tonnellata di prodotto spostato, un camion invece 660g. Paradossalmente, una ciliegia che viene trasportata al porto di Civitavecchia e poi si fa 40km di autostrada fino a Roma, potrebbe essere meno inquinante di una che viaggia in tir tir dalla Sicilia a a Milano . Ovviamente con riferimento a coltivazioni che sono stagionali nel paese di provenienza, perché le serre, in questo senso, sono molto più impattanti. Ma anche qui, in definitiva, stiamo parlando di inezie: le emissioni per i trasporti alimentari incidono meno del 5% sul totale del settore cibo”. E il tanto decantato zero waste? “Innanzitutto dobbiamo distinguere tra quello che è lo spreco (ossia ciò che viene prodotto e che non arriva all’utente finale, o che viene buttato via da quest’ultimo) e quello che è lo scarto, ossia le parti che avanzano dopo il consumo: bucce, fibre, semi etc…Lo spreco è un problema molto più grande, se non elimini quello, non stai facendo granché. E’ pratica comune il riutilizzo degli scarti, ma qualunque trasformazione consuma energia, quindi deve essere sensata. L’home made ci aiuta molto, ti faccio un esempio: quando lavori un ananas in estrattore, ci sarà una certa quantità di fibra che normalmente butteresti. Passandola in una centrifuga da laboratorio riesci ad ottenere circa mezzo litro di succo per chilo di scarto. Utilizzare invece frutta essiccata per le decorazioni, anche se è preferibile rispetto a quella fresca, è in ogni caso uno spreco perché quella fetta finisce comunque nella pattumiera, a meno di non essiccare frutti già senescenti o in eccesso”.

La presentazione alla mixology experience

Insomma, sembra veramente che siamo impotenti, ma lui frena: “Non fraintendermi, ben venga tutto questo, ma c’è bisogno di un cambio radicale nelle abitudini, che non tutti sono disposti ad accettare. Plastic Free e Local fanno molto figo, ma Differenziata spinta e Vegan hanno un impatto decisamente maggiore, considerando che la carne (soprattutto quella di mucca e di pecora, e relativi latticini) ha una Footprint enorme e che l’organico, quando finisce in discarica, genera metano, mentre se compostato correttamente funziona come carbon sink, assorbendo CO2. Un bar può fare molto in questo senso, limitando l’utilizzo di tali prodotti, gestendo correttamente i rifiuti e sostenendo quelle attività che investono in fonti rinnovabili o nel nucleare. La scelta del fornitore di energia più “pulito”, o la donazione di una parte dei proventi ad aziende che investono nella cattura di anidride carbonica dall’atmosfera (come fa Cocktail Engineering S.R.L.), o anche eliminare carne e derivati dal menù per un giorno a settimana sono iniziative più potenti che levare le cannucce dal bancone. Fare ognuno la propria parte va bene, ma non serve in assenza di scelte collettive che portino a modificare la domanda e il mercato”. Sta dicendo verità molto scomode, ne è consapevole “L’ambientalismo istintivo rischia di accendere i riflettori sulle cose sbagliate, serve un approccio scientifico, è necessario fare piazza pulita dei pregiudizi”.
E di falsi miti Giovanni se ne intende, dato che negli anni ne ha disinnescati parecchi. Decidiamo di ripercorrerne alcuni per chiudere con leggerezza.
Mettere più ghiaccio in un un drink, diluisce di più o di meno?
“Diluisce di più ma è maggiore anche il raffreddamento, quindi il risultato finale sarà migliore”
Fare un Old Fashioned in tre tempi porta qualche vantaggio?
“A parità di temperatura finale del cocktail è la stessa cosa, al livello gustativo, ma fa più figo”
Fare il Throwing serve davvero?
“Solo se hai una bella ragazza davanti”

E ti pare poco?

Per i numeri
https://www.statista.com/
https://ourworldindata.org/

massimo@fmbpartners.com'

Giordano Cioccolini

Giordano è un Trainer Bartender di Flair-Project. L’articolo è stato gentilmente preso dalla pagina social Flair Project Community

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